lunedì 28 dicembre 2015

Jerry Lee Lewis - Ottantesimo compleanno

Ottantesimo compleanno
29 settembre 1935 2015

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di  Augusto Morini  che appare sul n° 89 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 

Originario di Ferriday, Louisiana, e pianista autodidatta dall'età di
8 anni, ha già avuto svariate esperienze musicali amatoriali e semi- professionali quando l'enorme successo riscosso da Elvis Presley lo spinge, nell'autunno del 1956, a rivolgersi alla stessa etichetta che lo ha lanciato, la Sun Records di Memphis. 

Qui lavora come sessionman e a marzo del 1957 pubblica il secondo singolo con Whole lotta shakin'goin' on, n.3 USA a settembre e disco million seller. 

Seguono Great balls of fire (1957),
Breathless (1958) e High School confidential (1958), tutti dischi d'oro che segnano la completa affermazione dell'artista che da radici country e boogie ha saputo creare un personalissimo stile di R'n'R pianistico. 

Il suo grande periodo, solo poco più di un anno, termina quando l'inconsueto matrimonio con la cugina tredicenne Myra Brown scatena l'ostracismo dei benpensanti ed il boicottaggio di un bigotto mondo dello spettacolo. 

Continua a registrare prolificamente per la Sun fino al 1963 ma molto di questo materiale vedrà la luce solo negli anni '70/'80. 

Passato alla Smash, affiliata della Mercury, risale tenacemente la china e fino al 1978 realizza una trentina di album nei quali spazia con maestria nei più svariati generi, R'n'R, country, blues, soul, pop, ritornando una star di prima grandezza soprattutto in campo
country. 

Negli anni '80 realizza alcuni album di studio per Elektra e MCA ma sono soprattutto i numerosi album live tratti dalle sue frequentissime esibizioni negli USA e in Europa a tenere vivo l'interesse su di lui. Nel 1989 il film biografico 'Great Balls of Fire' ne celebra il personaggio, oramai una vera e propria leggenda vivente.

DISCOGRAFIA italiana (in vinile)

In Italia le registrazioni Sun sono state pubblicate principalmente sulle etichette London, Oxford e Green Line, ma esistono anche edizioni su etichette minori quali Penny, Sigla e Entertainers.

Le registrazioni Smash/Mercury sono apparse sulle etichette Philips, Fontana e Mercury, ma anche sulle etichette Curcio e De Agostini.

Delle innumerevoli antologie con artisti vari nelle quali è presente, non sono state considerate quelle nelle quali interpreta solo uno o due titoli mentre, al contrario, sono state inserite le colonne sonore che comprendono, anche se solo uno o due, titoli inediti.

  REGISTRAZIONI SUN

78 GIRI
Great balls of fire/
Mean woman blues
London HL 8529  (3.1958)
You win again/
I'm feeling sorry
London HL 8559  (7.1958)

45 GIRI
Great balls of fire /Mean woman blues
London HL 8529  (3.1958)

You win again /I'm feeling sorry
London HL 8559  (7.1958)

Breathless /Down the line
London HL 8592  (10.1958)

Break up /I'll make it all up to you
London HL 8700  (1.1959)

High school confidential /Fools like me
London HL 8780  (4.1959)


lunedì 14 dicembre 2015

QUANDO I COMPLESSI STRANIERI CANTAVANO IN ITALIANO

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Luca Selvini  che appare sul n° 89 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 

C’era una volta….come dicono le fiabe, un tempo in cui cantanti e gruppi
stranieri che avevano già conquistato il nostro mercato discografico, per compiacere i fans italiani incidevano anche nella nostra lingua alcune versioni di loro successi, di altri artisti o di canzoni italiane scritte appositamente per essi. 

Già dalla fine degli anni cinquanta diversi grossi nomi della musica internazionale si erano cimentati in questa impresa, registrando una sfilza impressionante di titoli cantati nel nostro idioma, tra cui vorremmo ricordare Paul Anka con Diana e Sei Nel Mio Destino (“You Are My Destiny”), tutte del 1958, Neil Sedaka con Esagerata (cover di “Little Devil”, incisa nel 1961) e Il Re dei pagliacci (“King Of The Clown” del 1963) o Gene
Pitney con Quando vedrai la mia ragazza (“When You See My Girl” del 1964) e la celebre Nessuno mi può giudicare, questa volta un brano di autori locali presentato in coppia con Caterina Caselli a Sanremo nel 1966. 

Anche il grande Elvis Presley non sfuggì a questa pratica e nel 1963 registrò la celebre Santa Lucia per il film “Viva Las Vegas”; ma c’erano stati anche Dean Martin con Buona sera signorina, Arrivederci Roma, ‘O Sole Mio, That's Amore, Volare, Torna a Sorrento e molti altri artisti, tra cui Pat Boone che nel 1962 presentò ad un programma RAI la classica Quando, quando, quando (in realtà cantata per metà in italiano e per metà in inglese); Connie Francis, cantante americana che incise molte canzoni nostrane, tra cui Tango della gelosia e La Paloma; il francese Richard Anthony, esecutore di E il treno va, Cin Cin, La mia festa e Il mio mondo, un brano firmato da Umberto Bindi e Gino Paoli, e
parecchie altre glorie tra cui l’indimenticabile Louis Armstrong di Mi va di cantare e Grassa e bella entrambe presentate alla TV italiana nel 1968 e il campione del R&B Wilson Pickett, con l’interpretazione di Un’Avventura al Festival di Sanremo del 1969 in coppia con Lucio Battisti, anche qui però con un cantato metà in italiano e metà nella sua lingua.

Ovviamente il discorso non finirebbe qui e comprenderebbe una lista ben più lunga di cantanti e canzoni che però rischierebbe di “sconfinare” dal mio campo di ricerca e da quello di cui mi occupo abitualmente su queste pagine…e cioè il beat e i gruppi stranieri che decisero ti togliersi lo sfizio di cantare in italiano. Saltando a piè pari quei complessi che si stabilirono in via definitiva qui da noi, e che quindi ebbero tutta una serie di successi scritti ex-novo da autori di casa nostra o scritti di loro pugno ma adattati nella nostra lingua (Rokes, Sorrows, Renegades), di cui mi sono già ampiamente occupato nei numeri scorsi di questa rivista, e sorvolando i venerabili
Primitives di Mal e i Motowns di cui parlerò in dettaglio prossimamente, direi di concentrarci di più sulle formazioni che transitarono brevemente nel nostro paese o di chi addirittura non ci visse mai ma registrò qualcosa nella lingua di Dante. 

Partiamo quindi dall’Olimpo del rock cominciando con i Rolling Stones che pubblicarono una cover di “As Tears Go By” intitolata Con le mie lacrime su singolo Decca nell’aprile del 1966, con il retro “Heart Of Stone” cantata in inglese, ed è divertente sentire la suadente voce di Jagger alle prese con la difficoltà della pronuncia italiana; da ricordare che più o meno nello stesso periodo anche il gruppo jugoslavo (oggi diremmo sloveno, visto che veniva da Capodistria) dei Kameleoni incise una propria versione della stessa canzone, mentre gli Yardbirds sempre nel ‘66 parteciparono a Sanremo con due pezzi che poi pubblicarono su singolo
per la RCA e cioè Paff …Bum (in inglese) e la decisamente bruttina Questa volta, presentandoli al Festival in coppia con Lucio Dalla e con Bobby Solo; l’anno seguente toccò invece agli Hollies con una canzone di Mogol-Battisti intitolata Non prego per me, con Mino Reitano come partner per la manifestazione canora; il 45 giri che ne derivò, pubblicato per la Parlophone, portava sul lato B Devi avere fiducia in me, un brano di autori italiani dall’andamento un po’ più brioso rispetto alla facciata principale (una ballata tutto sommato malinconica e lontana dal repertorio abituale del quintetto di Manchester) una curiosità: nel disco ai cori partecipò lo stesso Lucio Battisti, che il 13 gennaio del 1967 si recò negli studi di Abbey Road a Londra per registrare assieme al gruppo. 

Veniamo ora ai Casuals, band inglese originaria di Lincoln che incise una manciata di dischi nella nostra lingua tra cui la più celebre è senz’altro Jezamine (brano edito su etichetta Joker nel 1968 accoppiato ad Amore, sto dicendo a te!), ma anche Il sole non tramonterà e Alla fine della strada, dischi pubblicati rispettivamente su etichetta CBS e Vogue, il gruppo era noto anche per aver collaborato con Gino Paoli, che scrisse per loro assieme a Greenway e Cooke la canzone Siamo Quattro e con il quale divise a metà un intero LP (una facciata a testa) intitolato appunto Gino Paoli & The Casuals, sempre edito per la CBS nel 1967.

..continua sul n°89 di Jamboree Magazine.


giovedì 3 dicembre 2015

Tremendous Rock ‘N’ Roll con i Goose Bumps !

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'intervista a cura di Maurizio Maiotti che appare sul n° 89 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 


The Goose Bumps sono quattro giovani della provincia di Milano che da un paio
d’anni portano sui palchi la loro musica di chiara ispirazione rockabilly. 

Danny (voce), Elias (chitarra), Carlo (contrabbasso) e Fede (batteria) sono i quattro che, dopo qualche cambio di formazione in passato, sono entrati in studio all’inizio del 2015 per registrare l’album di debutto della band: “Tremendous Rock ‘n’ Roll”, pubblicato nel maggio di quest’anno dalla Rocketman Records di Milano. 

Il sound frizzante e sbarazzino del loro esordio discografico miscela elementi del rock‘n’roll e del rockabilly delle origini ed atmosfere più moderne sapientemente catturate da Ettore Ette Gilardoni di Real Sound, storico studio milanese.

I dieci pezzi del disco, tutti originali ad eccezione di una cover (Morse Code di Don Woody), sono la “raccolta” di pezzi scritti nel corso del tempo dai Goose Bumps e che nella maggior parte dei casi erano già presenti in pianta stabile durante i live show della band.
 
Le tematiche dei testi sono quelle della vita di tutti i giorni e, in particolare, si concentrano sull’amore e la voglia di far festa, tenendo così fede alla tradizione di questo genere che tanto scalpore aveva suscitato nell’America degli anni ’50. 

Il primo singolo estratto da “Tremendous Rock‘n’Roll” è Big Dick, pezzo che parla della “qualità” più nascosta dell’uomo e del quale è stato realizzato un videoclip (regia di Paolo Meroni per Altered Studio) con tanto di pin up e nano ballerino. 

The Goose Bumps sono in tour praticamente continuo per promuovere il loro album d’esordio, toccando anche alcuni dei palchi più importanti del nord Italia.

Ciao ragazzi come state vivendo questa collaborazione con la Rocketman Records? Ci potete raccontare come è nato questo incontro?

La collaborazione con la Rocketman per noi è stato un passo fondamentale verso il poterci considerare una band a tutti gli effetti, che possa contare su un pubblico composto non esclusivamente dai propri amici. 
Abbiamo avuto l’opportunità di lavorare con persone serie e competenti, di poter registrare un album in maniera professionale e di iniziare a farci conoscere attraverso canali che da soli non avremmo potuto raggiungere. 
L’incontro con l’etichetta è avvenuto tramite Antonio Gno Sarubbi, musicista e discografico milanese, che ci ha messi in contatto con l’etichetta e portati in
studio per la prima volta.

Raccontateci un po’ la storia del vostro gruppo, chi siete e quali sono le vostre influenze.

Siamo quattro ragazzi della provincia di Milano che nel 2013 hanno deciso di provare a concretizzare il proprio sogno che era quello di portare sui palchi la propria musica, e per farlo ci è venuto naturale ispirarci prevalentemente a quello che secondo noi sta alla base di tutta la musica che ci è sempre piaciuta, e cioè il rockabilly e il rock’n’roll delle origini. 
Con l’arrivo di Carlo al contrabbasso, alla fine del 2014, abbiamo raggiunto la formazione attuale che vede Danny alla voce, Elias alla chitarra e Fede alla batteria e siamo finalmente entrati in studio per concretizzare il nostro lavoro.

Come vi siete avvicinati al mondo del Rockabilly? Avete sempre suonato questo?

Il Rockabilly, come dicevamo prima, è il genere che più ci appassiona e sicuramente più si avvicina all’idea che abbiamo noi di musica: 
“selvaggia” ma allo stesso tempo divertente e che non ha bisogno di prendersi per forza troppo sul serio. Nonostante questo i nostri ascolti sono molto vari e ognuno di noi nella sua crescita musicale ha avuto modo, con progetti precedenti, di suonare le cose più svariate, dal blues all’indie, dal rock al metal.

Dove suonate abitualmente e dove vi piace più esibirvi?

In poco più di due anni di vita abbiamo avuto modo di fare un centinaio di live show principalmente in Nord Italia e in Svizzera, suonando in situazioni più disperate e davanti a un pubblico molto vario, dal festival con ospiti importanti e “storici”, ai piccoli locali di provincia. 
Se dobbiamo scegliere un posto dove più ci piace suonare sicuramente possiamo dire il Canton Ticino in Svizzera, che per ospitalità, serietà e cultura musicale media della gente ci sembra avanti anni luce rispetto ad alcune situazioni di casa nostra.

Parlateci del vostro disco, vi soddisfa il sound che avete raggiunto?

Il nostro disco di debutto s’intitola Tremendous Rock’n’Roll ed è uscito nel maggio di quest’anno per la Rocketman Records di Milano. 
Contiene nove tracce scritte da noi e una cover di Don Woody, reinterpretata a modo nostro. Molti dei pezzi presenti sull’album li suonavamo dal vivo da più di un anno prima di entrare in studio, per cui col tempo siamo riusciti a dar loro esattamente il sound che avevamo in mente e siamo soddisfatti del risultato finale della registrazione. Ovviamente prendiamo Tremendous Rock‘n’Roll come un punto di partenza per continuare a migliorarci e, si spera, continuare a incidere album in futuro.

..continua sul n°89 di Jamboree Magazine.
 

mercoledì 18 novembre 2015

LESLEY GORE

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Augusto Morini  che appare sul n° 89 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 




Nata il 2 maggio 1946 in una famiglia benestante di Brooklyn, New York City, Lesley Sue Goldstein (Gore è il cognome della madre) cresce a Tenafly, New Jersey.

Appassionata di musica, frequenta ancora la ‘high school’ quando inizia a prendere lezioni di canto a New York. Un giorno, assieme al pianista col quale studia, si reca in uno studio di registrazione dove incide diversi demo.

Questi demo giungono poi nelle mani di Quincy Jones, musicista e produttore per l’etichetta Mercury, il quale la convoca per dei provini.











La cantante e Jones lavorano alla scelta della prima canzone da incidere ascoltando decine di demo e alla fine viene scelta It’s my party che, arrangiata dalla compositrice Ellie Greenwich e prodotta da Jones, viene registrata il 30 marzo 1963 ai Bell Sound Studios di Manhattan.


E’ il febbraio del 1963 e la cantante inglese Helen Shapiro, con alle spalle alcuni anni di grandi successi, si reca negli Stati Uniti per registrare a Nashville il suo terzo album (Helen in Nashville), poi considerato una delle sue cose migliori.

In breve la Columbia pubblica un primo singolo tratto dalle stesse session che, però, non ottiene buoni risultati di pubblico.

I funzionari preposti pensano allora di pubblicarne un secondo col
brano It’s my party ma mentre si preparano all’uscita ecco che appare lo stesso pezzo cantato da una sconosciuta Lesley Gore, titolo che a giugno staziona al n.1 della classifica Pop americana per due settimane e sale al n.9 della classifica inglese.

Il disco diventa un grande hit nazionale guadagnandosi un disco d’oro per oltre un milione di copie vendute.

La cantante, che ha da poco compiuto 17 anni e continua a frequentare la scuola, è oramai avviata nella carriera e continua ad incidere.

A giugno pubblica il suo primo album I’ll cry if I want to (n.24 nella classifica USA degli LP) al quale fanno seguito diversi singoli, Judy’s turn to cry (n.5 USA), She’s a fool (n.5 USA) e You don’t own me (n.2 USA nel febbraio 1964 e secondo disco million seller).

Quest’ultimo brano, dove, semplificando, una ragazza dice con forza al suo ragazzo ‘Io non sono tua’, viene considerato una specie di dichiarazione di emancipazione da parte delle ‘donne’. 


sabato 31 ottobre 2015

The Angels

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo che appare sul n° 89 della nostra rivista che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it

Gli anni a cavallo tra cinquanta e sessanta, sono stati molto favorevoli per i gruppi femminili e si vedano a tal proposito formazioni quali Shirelles, Ronettes, Chantels e tante altre.

Le Angels, tuttora in attività dal 1961, sono ricordate soprattutto per il loro successo del 1963, My Boyfriend’s Back, ma la loro storia parte da più lontano, dal 1960, quando le sorelle Barbara “Bibs” e Phyllis “Jiggs” Allbut, insieme a Bernardette Carrol e Linda Malzone formano le Starlets a Orange, New Jersey, città natale delle sorelle.

Il gruppo incide un singolo per l’oscura etichetta Astro; si tratta del classico P.S I Love You di Johnny Mercer (recante sul retro Where Is My Love Tonight), portato al successo nel 1934 dal crooner Rudy Vallee e successivamente riproposto in innumerevoli versioni.

Il disco non ottiene alcun seguito (ci sarà una seconda possibilità per le ragazze, con Romeo And Juliet, sempre nel ’60) e poco tempo dopo la Malzone cede il posto a Linda Jansen; per giunta il manager Tom DeCillis decide di fare a meno anche di Bernadette Carrol (che avrà un suo lieve successo personale nel 1964 con Party Girl, inciso per la Laurie).

A questo punto le Angels hanno definito l’organico. 
Le cose non vanno bene però, le ormai ex-Starlets falliscono qualche audizione, compresa una con l’importante produttore Gerry Granahan, per cui non resta che tornare agli studi (Barbara viene accettata alla prestigiosa Juilliard School).

Decidono poi di tornare in scena; nel 1961 incidono un nastro dimostrativo contenente la classica Till, successo per Roger Williams qualche anno prima (nota anche nell’edizione di Percy Faith); la versione delle Angels è molto dolce e attira l’attenzione proprio di Gerry Granahan che le ingaggia per la sua etichetta, la Caprice.


..continua sul n°89 di Jamboree Magazine.

sabato 10 ottobre 2015

YUL BRYNNER

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Agostino Bono che appare sul n° 89 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 

Lost stars of Hollywood

Era calvo, aveva una voce piuttosto dura ed agli inizi della sua carriera parlava un inglese stentato.

Nonostante ciò, diventò uno degli attori simbolo dell’età d’oro del cinema americano.

 I ruoli che lo resero celebre furono Ramses II, nel kolossal storico di Cecil B. De Mille, I dieci comandamenti, e il re del Siam, Mongkut, nel musical Il Re ed io.

Quest’ultimo ruolo, che interpretò per oltre trent’anni anche in teatro, gli valse due Tony Awards ed un Oscar come miglior attore protagonista.

Fino ad oggi, nessun altro attore ha ottenuto tali riconoscimenti per aver interpretato lo stesso personaggio in teatro ed al cinema.

Nacque nella città russa di Vladivostok nel 1920.

Il padre Boris abbandonò la famiglia nel 1923 a causa di una relazione con un’attrice di teatro moscovita.

La madre Maruosia decise di trasferirsi in Cina con il piccolo Yul e l’altra figlia, Vera.

Nel 1932, temendo una guerra tra Cina e Giappone, i tre si trasferirono a Parigi.

Nella capitale francese, Yul e la sorella cominciarono a lavorare in alcuni nightclub  russi.

Lui suonava la chitarra e lei cantava canzoni del paese di origine.

Nel tempo libero riuscì a lavorare, come trapezista, in un circo francese.

La sorella si trasferì dopo alcuni anni negli Stati Uniti: il fratello e la mamma la seguirono nel 1940 quando
arrivarono a New York a bordo della SS President Cleveland.

Vera si era, nel frattempo, affermata come cantante, arrivando a recitare nell’opera The consul a Broadway nel 1950.

Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra, lavorò come presentatore in lingua francese per la radio dell’Office of War Information.

Si trattava di programmi di propaganda che venivano trasmessi nella Francia occupata dalle truppe tedesche.

Nello stesso periodo, cominciò a studiare recitazione con il maestro russo Michael Checkhov e nel 1941, debuttò a Broadway in una commedia di Shakespeare, Twelfth Night.

Nel 1944, si sposò con l’attrice Virginia Gilmore (1919-1985) e ottenne un contratto da regista CBS.
nell’appena creata rete televisiva

Di li a poco, avrebbe diretto, fra gli altri, alcuni episodi del celebre programma Studio One (in onda dal 1948 al 1958).

Nel 1949, esordì, da attore, al cinema nel noir Il porto di New York.

Un anno dopo, fece un provino per il musical Il re ed io che Rodgers and Hammerstein avrebbero di li a poco proposto in teatro.

Dopo aver letto la sceneggiatura, rimase favorevolmente impressionato dal personaggio di Mongkut, re del Siam, e finì con ottenere il ruolo che avrebbe cambiato in positivo la sua vita professionale sul grande schermo ed in teatro (dal 1951 al 1985 interpretò per ben 4265 volte la parte in teatro sia negli Stati Uniti che in Europa).

Nel 1956, recitò nella versione cinematografica, Il re ed io, al fianco di Deborah Kerr; nel 1972, fu anche protagonista in una seria omonima, prodotta dalla CBS, che, tuttavia, andò in onda per una sola stagione.

Nel 1956, recitò, anche, al fianco di Ingrid Bergman in Anastasia, nei panni del  Generale Bunin che vuol far credere a tutti che la triste Anastasia sia in realtà la figlia dello zar Nicola II.

La Bergman ricevette l’Oscar come miglior attrice protagonista ma anche Yul impressionò positivamente critica e pubblico.

I film furono l’inizio di una luminosa carriera che durò sino alla seconda metà degli anni settanta.

Le opere migliori, tuttavia, rimangono i classici della fine degli anni cinquanta e gli inizi degli anni sessanta: Karamazov (1958), un dramma storico, tratto dal libro di Dostoevskij (I fratelli Karamazov) e basato sulle vicissitudini dell’omonima famiglia borghese nella Russia zarista nel 1870; I bucanieri (1959), nei panni del pirata Lafitte, dalla folta capigliatura nera, che stringe un'alleanza con il generale Jackson per salvare New Orleans; Salomone e la regina di Saba (1959) co-interpretato da Gina Lollobrigida nelle vesti della regina che seduce il saggio Salomone; I magnifici sette (1960) e Invito ad una sparatoria (1964), lo videro molto a suo agio in un genere, il western,  del quale sarebbe diventato uno delle icone nonostante i pochi film girati; Taras il Magnifico (1962) nei panni del comandante dell’esercito cosacco che tenta di conquistare una città polacca, e I re del Sole (1963) nel ruolo di Aquila Nera, capo di una tribù di nativi americani del Texas che si allea con i Maya per combattere un gruppo di invasori.



giovedì 24 settembre 2015

Eve La Plume ...un incontro elegante.

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Silvia Ragni che apparirà sul n° 89 della nostra rivista  che potrete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 


Foto di  DEMIS CRUDELI
L’anfitriona della XVI edizione del Summer Jamboree colpisce subito per la sua allure diafana e al tempo stesso radiosa: il corpo flessuoso, l’incarnato di porcellana, la chioma ondulata color rame che incornicia un ovale perfetto, lo sguardo azzurro che vira al verde sotto i riflettori tracciano un percorso a ritroso nel tempo rievocando l’ammaliante bellezza di una diva del Charleston

Non è un caso che Eve La Plume, al secolo Manuela Porta, abbia scelto un nome d’arte “da primadonna” (come ha dichiarato in un programma TV) per il suo debutto, nel 2005, come Burlesque performer

Foto di  Claudio Paolinelli
Da vera primadonna è dotata di carisma, di una spiccata presenza scenica, di un sofisticato appeal contraddistinto da magnetismo e unicità. 

Con un’icona di riferimento come la Marchesa Luisa Casati - “opera d’arte vivente” e regina d’eccentricità che stregò D’Annunzio e tutto il “beau monde”  – d’altronde, non poteva essere altrimenti: innamorata della Belle Epoque Eve ne ricrea, nei suoi spettacoli, le atmosfere e il mood. 

La Parigi di Toulose-Lautrec e del Moulin Rouge, la seduttività “maliarda” delle dive dei Café Chantant fanno da sfondo a mise
en scène di autentica preziosità, curatissime nei dettagli, che con raffinatezza esaltano le movenze aggraziate di una performer più simile a una musa Decadente che a una procace pin up. 


Al Summer Jamboree Eve La Plume ritorna, nell’inedita veste di presentatrice, dopo l’esordio del 2008 nel Burlesque show. 

Foto di  MARIELISE GOULENE
Al suo attivo, una carriera che la vede diva incontrastata del genere, guest star fissa dell’esclusivo Ballo del Doge al Carnevale di Venezia e ospite di importanti salotti TV. 

Decretata “Regina del Burlesque” da Vanity Fair, è apparsa sulle più note testate nazionali e guarda al teatro come dimensione ideale dei suoi show. 

Ed è proprio nella splendida cornice del Teatro La Fenice che quest’anno si è esibita, a Senigallia, nella soirée del 7 agosto dedicata al Burlesque

Con lei, sul palco, l’effervescente Miss Grace Hall a sancire un connubio DOC dell’entertainment d’antan.


foto di MAURIZIO CAMAGNA
Destreggiandosi tra il Rock‘n Roll del Foro Annonario e il suadente sound del La Fenice, Eve ha vissuto la sua nuova esperienza in un susseguirsi di emozioni. 

L’abbiamo intervistata in due tempi, per cogliere il suo stato d’animo dei giorni antecedenti al Festival e nel clou della rassegna: ne è risultato un coinvolgente mix di suggestioni, confessioni e riflessioni dall’impatto altamente esplosivo.

IL PRE-FESTIVAL SECONDO EVE

Com’era la tua vita, prima dell’incontro con il Burlesque?

Nella mia vita precedente – mi piace usare questo termine – facevo la costumista, un lavoro simile a quello odierno ma dietro le quinte: mi occupavo degli artisti che andavano in scena. Poi, a un certo punto, son passata da dietro le quinte al palcoscenico. Ed è stata una scelta giusta, secondo me: ho assecondato la mia natura. 

foto di MAURIZIO CAMAGNA
Come performer come hai iniziato?

Volevo uno spettacolo che trattasse l’immagine della donna “senza veli” in modo rispettoso, che si avvicinasse al mio modo di intendere la figura femminile, e ho pensato: “Se non esiste, lo faccio io.” Una grande presunzione, da parte mia, perché nasceva dal fatto che non conoscessi il Burlesque: in Italia, dieci anni fa, non se ne parlava nè io ne avevo mai sentito parlare. Per cui ho messo in scena uno spettacolo prima di sapere che appartenesse, in realtà, al genere Burlesque. 

A tuo parere, è necessaria una formazione specifica per diventare una Burlesque star?

Foto di  Claudio Paolinelli
Io trovo che valga la stessa legge sia per un attore che per chiunque varchi la soglia del palcoscenico: bisogna avere presenza scenica e sapere che si tratta di una cosa seria, che ha delle regole ben precise. Nel Burlesque, invece, a volte ci si improvvisa. Secondo me non si può parlare di una vera e propria scuola: una performer dovrebbe mettere in pratica la recitazione, la danza, tante arti che, tutte insieme, vanno a comporre lo spettacolo Burlesque. Non sono d’accordissimo con la linea dei corsi e dei workshop. Perché sapere come si toglie il guanto è l’ultimo dei know-how: è tutto il resto che tiene in piedi quel che poi, di base, è uno spogliarello ironico!

Le tue performance, negli abiti così come nelle scenografie e nei personaggi che interpreti, più che agli anni ’40 e ’50 sembrano ispirarsi all’era di D’Annunzio, dell’Art Nouveau e della Belle Epoque. Perché questa scelta?

Il mio periodo storico preferito va dalla fine dell’800 agli anni ‘30: per una considerazione estetica e perché a quelle epoche mi sento vicina. Più le studio più mi sembrano in qualche modo rappresentarmi, e che io possa rappresentarle. La mia è una scelta istintiva, amore a prima vista.





venerdì 4 settembre 2015

50° anniversario dei CORVI

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un articolo di Maurizio Maiotti per il 50° anniversario dei CORVI che si è svolto il 30 agosto a Neviano degli Arduini.

Tra i tanti anniversari che si festeggiano quest’anno, da Jerry Lee Lewis ai Beatles, è doveroso ricordare anche i 50 anni di attività del mitico gruppo parmense de I Corvi

Per commemorare questo evento il batterista Claudio Benassi, storico componente del gruppo, ha voluto organizzare un importante incontro tra amici, musicisti e fans.

Partito all’inizio dell’anno con una semplice idea ha avuto modo, nei mesi successivi, di far crescere il progetto anche grazie all’appoggio del sindaco del paese d’origine: Neviano degli Arduini, una piccola località in collina a circa 30 km da Parma. 

Senza dubbio l’entusiasmo e l’aiuto concreto offerto del giovane sindaco Alessandro Garbasi ha reso possibile la realizzazione di questa giornata.

Ovviamente, non senza difficoltà, sono infine arrivati a concretizzare una grandiosa festa per omaggiare la carriera de I Corvi con una giornata all’insegna della musica. 

Ed è così che domenica 30 agosto, proprio a Neviano degli Arduini, si è tenuto questo splendido festival sponsorizzato dalle aziende di prosciutto e del parmigiano del luogo.

        La giornata inizia già in mattinata con la possibilità di vedere una piccola ma originalissima mostra di oggettistica dall’archivio di Claudio. 

Nel salone era quindi possibile ammirare manifesti e locandine, copertine di dischi, foto dell’epoca, tutto rigorosamente originale.

Non mancavano alcune lettere di fans e capi di abbigliamento come le storiche divise del gruppo.

Il pezzo forte infatti era la divisa usata per la copertina dell’album su etichetta Ariston.

Questa divisa, con la mantellina, è stata da poco recuperata grazie alla nipote del compianto Fabrizio Levati, che aveva gelosamente ereditato e conservato l’abito completo.

L’evento, tenutosi presso il Parco Chiesa Parrocchiale disponeva di una vasta area verde dove sono stati allestiti alcuni stand degli sponsor oltre a banchetti per la vendita in beneficenza delle magliette dei Corvi.

Attivo e molto efficiente anche un servizio cucina con tavolate pronte sul prato davanti al palco.

               Dalle 15.30 del pomeriggio sono iniziati anche i concerti che hanno visto salire sul palco un gruppo di giovanissimi denominati I Different Times, quattro ragazzi di Parma dediti al rock made in Italy, e Gli Shout con il loro entusiastico tributo ai Beatles

A seguire poi I Nuovi Pupi che arrivano da una storica formazione di Parma, all’epoca denominata I Pupi.

Poi fino alle 19 si sono esibiti i Megawatt Rock, con il loro rock aggressivo e accattivante a base di cover dei Free, Jimi Hendrix, Black Sabbath, Ten Years After per citarne alcuni. 

Nel gruppo il cantante Gino Carpi, anche lui dei Pupi e poi dei Parma City Blues, il batterista Erik Bussolati, nipote di Claudio Benassi e componente del gruppo beat I Baronetti e poi della Genius City Blues, Giorgio Donati, ex gruppo beat TNT, al basso e Dante Bartolini, alla chitarra solista, proveniente dai Parma City Blues.

A seguire una tranquilla pausa cena a base di gramigna con prosciutto di Parma, prosciutto e melone e l’ottimo grana padano.

Qualche dolce e caffè e si avvicina il momento dell’ultima esibizione.

Purtroppo un guasto al generatore ha portato qualche tensione tra i tecnici ma fortunatamente è stato risolto così che, se pur con un po’ di ritardo, poco prima delle 22 sono saliti sul palco I Corvi di Claudio - l’ultimo ragazzo di strada. 

La formazione è composta da: Lorenzo Cavazzini (voce solista), Pietro Amoretti (chitarra solista), Paolo Ferrarini (basso), Emanuele Sirocchi (chitarra ritmica), Mirko Rivara (tastiere) e Claudio Benassi (batteria). 

Una partenza energica con la cover Bang Bang supportata da una serie di filmati su un grande schermo montato sul palco.

Il giovane cantante del gruppo cattura subito il pubblico, si muove con eleganza e infonde la giusta carica. 

Seguono perfettamente incastrati tutti i successi storici dei Corvi, targati Ariston e BlueBell, con qualche cover come C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones (Gianni Morandi), Pugni chiusi (Ribelli), Che colpa abbiamo noi (Rokes) e Jumpin’ Jack Flash (Rolling Stones). 

Ottima anche l’esecuzione del pezzo originale datato 2015, tratto dal loro singolo, intitolato La strada. Tra un set e l’altro sono state introdotte alcune letture in memoria dei tre componenti del gruppo scomparsi.




Sono Roberto Bonardi e Daniela Ferrari che svolgono questo compito catturando l’attenzione del pubblico con frasi poetiche e commoventi per salutare Fabrizio Levati, Italo ‘Gimmy’ Ferrari e Angelo Ravasini.

A chiudere il concerto una sorta di poesia cantata, intitolata Gli Angeli, in omaggio a Vasco Rossi, che recentemente aveva rivolto un tributo proprio ai Corvi.

Il successo dell’evento ha subito spinto Claudio a valutare un nuovo appuntamento anche per il prossimo anno con tante sorprese in più.


Le foto sono di Francesca Saccani.