venerdì 28 febbraio 2014

THE RONETTES

Doo Wop corner

Fatte le debite proporzioni con la lunghezza della loro carriera, dal 1961 al 1966, nessun gruppo femminile è stato più influente di loro.

Le Ronettes si distaccavano sia stilisticamente che come immagine (almeno erano bravissime da alimentare tale sensazione, riuscendo ad apparire come “bad girls”), dalla maggior parte dei “girls groups” dell’epoca; erano decisamente meno innocenti di Chantels e Angels, più smaliziate delle Shirelles, meno suadentemente femminili delle Supremes.

Brian Wilson fu talmente colpito da Be My Baby, il loro epico singolo del 1963, da indicarlo come “ossessione professionale”; tre generazioni di musicisti pop e rock dichiarano di aver subito la malia da parte delle ragazze, da Bruce Springsteen a Billy Joel, la cui Uptown Girl pare una velata dedica a Ronnie Spector, a Amy Winehouse; ammirazione ricambiata, con una bella versione da parte di Ronnie di Back To Black, all’indomani della scomparsa dell’artista britannica.

Keith Richards, fan sfegatato nonché vecchio amico di Ronnie, sarà l’uomo che introdurrà il gruppo nella Rock’n’Roll Hall Of Fame nel 2007. Tanto rispetto, oltre alle qualità intrinseche della formazione, era dovuto ovviamente anche a colui che fu dietro alla produzione dei loro singoli più significativi, Phil Spector; la citata Be My Baby, è stata spesso indicata come “perfetto esempio di wall of sound”.

La storia delle Ronettes inizia a Washington Height, New York, dove Veronica Bennett (in seguito Ronnie Spector, allorché moglie del produttore Phil; il loro matrimonio si protrarrà dal 1968 al 1974 e sarà tutt’altro che facile) forma un gruppo con la sorella Estelle e con le di loro cugine Nedra Talley, Diane ed Elaine; queste due ultime abbandonano quasi subito, in seguito, pare, ad un infruttuoso “contest”.

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domenica 23 febbraio 2014

THE ATLANTICS - I Re australiani del surf



Considerata la migliore formazione surf sviluppatasi al di fuori dei confini degli Stati Uniti, il gruppo nasce nel 1961 a Sydney, Australia, ed è inizialmente composto da Theo Penglis, prima chitarra e chitarra ritmica, Eddy Matzenik, chitarra, Bosco Bosanac, basso e Peter Hood, batteria.

Poco dopo però Matzenik lascia e viene sostituito da Jim Skiathitis. Curiosamente il nome che adottano non ha nessuna connotazione ‘surfistica’, ma viene suggerito da quello di una locale marca di benzina.

Come molte altre band strumentali anche loro si ispirano al lavoro dei vari Shadows e Ventures ma la inusuale presenza di due prime chitarre conferisce loro una ‘marcia’ in più.

All’inizio del 1962 partecipano al locale show TV ‘New Faces’ dove vengono votati come ‘Più promettente gruppo del 1962’. 

Successivamente ingaggiano un agente il quale fa loro incidere un demo ed inizia a contattare delle etichette.
La ricerca è lunga ed è solo all’inizio del 1963 che ottengono un contratto con la CBS. A febbraio pubblicano il primo singolo, ‘Moon Man/Dark Eyes’, che muove solo un po’ le acque. 

Quello è il periodo in cui il nuovo genere strumentale denominato ‘surf’, portato alla luce in California da Dick Dale, si sta diffondendo irresistibilmente e a luglio il gruppo realizza il secondo singolo con un brano composto da Hood e Skiathitis, dal titolo Bombora

A settembre il brano è al n.1 della hit parade australiana e ottiene grande successo nei vari paesi dove viene pubblicato, Nuova Zelanda, Giappone, Sud America, Inghilterra e Olanda.

in chiusura un reportage con foto della loro data a Roma a cura di Marcello Antonelli e calendario tour italiano

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venerdì 14 febbraio 2014

Speciale Intervista a Marco Di Maggio


Marco Di Maggio torna a farsi ascoltare su disco, questa volta da solo, niente Connection e niente Brother. E’ l’undicesimo album del più ammirato chitarrista italiano, un disco doppio che si rivela essere un vero e proprio catalogo di stili e generi, praticamente la summa definitiva della sua opera ad oggi. Western-swing, country, rockabilly, swing, finger-picking in tutte le loro varianti e contaminazioni possibili, nella maggior parte dei casi in versione strumentale. E infatti l’album è quasi completamente strumentale, solo cinque cantati su un totale venti pezzi. Un diluvio di note, una valanga inarrestabile di lick, un campionario infinito di soluzioni, fraseggi e variazioni al tema. Ma anche un vero e proprio tributo a tutti i grandi stilisti che lo hanno influenzato da quando a 8 anni di età  prese la chitarra e cominciò a sognare l’America dei Fifties. Merle Travis, Chet Atkins, Scotty Moore, Hank Garland, Jimmy Bryant, Eddie Cochran questi i nomi e cognomi dei chitarristi che hanno cambiato la vita a Marco, gli artisti sui quali si è concentrato particolarmente durante la sua formazione. Oggi i loro stili vengono riproposti sottoforma di tributo e di citazione durante tutti gli show del chitarrista fiorentino ma con questo disco ciò che il nostro ha voluto realizzare è il definitivo ringraziamento nei loro confronti.

Quasi la metà  dei brani è originale e inedita, eccetto Bruno pezzo già  pubblicato sull’album dei Di Maggio Brothers "When I Hit My Stride". Per il resto ascolterete classici come San Antonio Rose, Tiger Rag, All By Myself, I Love You Because e Tonight Will Be The Last Nite e qualche pezzo di oscura provenienza. 

Da solo si diceva all'inizio, ed è così, Marco Di Maggio questo disco lo ha voluto realizzare completamente da solo, sovraincidendo tutti gli strumenti e le voci. Un prodotto la cui gestazione e realizzazione ha implicato una notevole mole di lavoro. Buon ascolto, e buona lettura dell’intervista che segue, che Marco ha cortesemente accettato di rilasciare.

Come è cambiata la realtà  musicale italiana da quando hai cominciato a vivere professionalmente di musica?

Direi che è cambiata, non radicalmente, ma ha subito importanti cambiamenti per diversi motivi e un musicista che si affacciava nel complesso mondo dello show business, a meno che non avesse una produzione mirata e budget consistenti, doveva fare di necessità  virtù, un po’ come ho fatto io...
ricordo le spedizioni serali munito di agenda e scheda telefonica prepagata, durante le quali chiamavo locali e promoter dalla cabina telefonica! Sembra preistoria ma si parla dei primi anni ‘90’....
Le fotocopie dei primi articoli e le spedizioni cumulative con mattinate spese ad imbustare cd e addirittura musicassette, con notevole dispendio di tempo e denaro.
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venerdì 7 febbraio 2014

Rubrica auto d’epoca: Ford Thunderbird 1957


FIFTYSEVEN HEAVEN

Come and see how this amazing car fits into your life!
(Vieni a vedere come questa macchina straordinaria si inserisce nella tua vita!)


Nel gennaio del 1953, quando la Chevrolet Corvette debutta al Motorama di New York, la FoMoCo decide di accelerare i tempi e, nella serata di quello stesso giorno, propone al management aziendale un prototipo in scala 1:1 della due posti concepita dall’Ovale Blu.

La Corvette incuriosisce molto e crea un nuovo segmento di mercato (quello delle “Two-Seater sports car”) e la Ford non desidera certo rimanere a guardare!

Imparando dagli errori commessi in casa General Motors, la “Thunderbird”viene quindi da subito concepita non come spartana “Sports Car”, ma come “Personal Car”, decisamente più lussuosa, accessoriata e potente.

Il sei cilindri e la vetroresina vengono quindi scartati a priori, lasciando il posto a generosi V8 ed eleganti scocche in metallo, perfettamente in grado di soddisfare le esigenze di facoltosi uomini d’affari e banchieri di mezza età.

Con la prima apparizione pubblica datata 20 febbraio
1954, la Ford Thunderbird risulta disponibile negli showroom a partire dal 22 ottobre dello stesso anno (ma come Model Year 1955, NdR.), dando vita ad una leggenda in grado di aumentare la propria fama ad ogni nuova generazione proposta!

Il generoso propulsore V8 standard da 193 o 198 cavalli (cambio manuale o automatico), affiancato a tre possibili trasmissioni (tre marce manuale, con overdrive o Fordomatic) le conferiscono da subito un maggior consenso tecnico rispetto alla Corvette e, con l’avvento dei nuovi MY, le performance continuano ad incrementare raggiungendo, in breve tempo, picchi di tutto rispetto!

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