sabato 31 dicembre 2016

Memories of....California 1976-2016

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di  Augusto Morini  che appare sul n° 92 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 


Memories of....California 1976-2016


Gli ‘amici americani’



Per un concatenarsi di eventi, nella primavera del 1976 ebbi modo di incontrare, a Milano, un ragazzo americano giunto tempo prima in Spagna per un corso di perfezionamento sulla lingua spagnola. 

Per il tramite di conoscenze di entrambi eravamo entrati in contatto e ci incontrammo la prima volta in Piazza del Duomo.

Era il 16 marzo, giornata piovosa e ancora invernale e l’inizio di una lunga amicizia.

Il giovane Randy Wheeler, originario di La Jolla, una località residenziale alla periferia di San Diego, era un appassionato di musica e collezionista di dischi ma aveva anche altri interessi, e in Europa aveva il tipico atteggiamento dell’americano che, con alle spalle solo un paio di secoli di storia, vuole conoscere da vicino quello che ha studiato  all’università sulla storia dei paesi europei...

Ad ogni modo ci trovammo subito in sintonia e in breve me lo scorazzai in giro per Milano portandolo, malgrado il tempo ancora invernale, anche in cima al Duomo e in alcuni altri posti per i pochi giorni che restò da noi.

Nel 1971 avevo già conosciuto un altro ragazzo americano il quale, ospite del nonno materno abitante a Como, era intervenuto all’anteprima del film ‘Elvis, That’s the Way it is’ (in Italia ‘Elvis Presley Show’), tenuta a Milano la mattina del 20 maggio al cinema Metro-Astra di Corso Vittorio Emanuele.

Ronnie Weiser era un ragazzo simpatico, esuberante e anche scatenato, non solo per Elvis, ma anche per tutto il rock and roll/rockabilly. Alla prima del film erano arrivati diverse altre persone che conoscevo, fra i quali l’amico Livio Monari di Recanati, fondatore del primo fan club italiano di Elvis, e svariati soci del suo club. 

Nel pomeriggio, con Ronnie, Livio e qualche altro, ci ritrovammo a casa mia a parlare di musica, e con l’occasione approfondii la conoscenza di Ronnie.

Ron Weiser

Ronald Weiser nasce nel 1946 a Milano da padre tedesco e madre egiziana e cresce in Egitto, Austria e Italia. Nella seconda metà degli anni ’50 Ronnie, che in quel periodo vive a Como, entra in contatto col rock and roll, diventando un grande appassionato sia di questa nuova musica che di tutti gli aspetti della vita americana, tanto che verso la metà dei ’60 lui e la famiglia si trasferiscono negli Stati Uniti, dapprima in Florida e poi in California.

Stabilitosi col fratello in un appartamento di North Hollywood, Ronnie termina gli studi, laureandosi alla UCLA in ingegneria elettronica, e qualche tempo dopo si trasferisce in una villa a Van Nuys, nella San Fernando Valley, a nord di Los Angeles.


Nel corso del 1969 entra in contatto con alcuni fan club europei di rock and roll ‘originario’ e si rende conto che il genere è ancora popolare nel vecchio continente, mentre nel suo paese d‘adozione è praticamente quasi ‘dimenticato’.

Fonda allora l’Hollywood Rock’n’ Roll Fan Club, pubblicando la fanzine ciclostilata Rollin’ Rock, e inizia quella che sarà una vera ‘crociata’ a favore del rock and roll classico.

Nella grande Los Angeles Ronnie ha modo di rintracciare, e incontrare, svariati artisti del rock’n’roll degli anni ’50 che colà vivono, primo fra tutti uno dei suoi idoli, Gene Vincent, che fra l’altro abita non molto distante da lui.

Nell’agosto/settembre 1971 Gene Vincent effettua in casa di Ronnie quelle che saranno le sue penultime registrazioni, mentre le ultime avranno luogo a Londra il 1° ottobre per la BBC, poco prima della sua improvvisa e prematura scomparsa che avviene l’11 ottobre in un ospedale di Saugus (Los Angeles), a causa di una emorragia interna. 

Questi quattro brani, completati con l’overdubbing di alcuni strumenti, vedranno poi la luce nel 1980 in un album della Rollin’ Rock Records.

Difatti, vista la richiesta da parte dei soci del club di nuovi dischi di rock and roll/rockabilly, dai primi anni ‘70 Ronnie mette in piedi anche un’etichetta discografica, la citata Rollin’ Rock Records.

Con essa Ronnie rimette in circolazione vecchie e/o rare incisioni dei ’50 di artisti più o meno conosciuti, delle quali acquista i diritti di riedizione. 

Ma ben presto inizia ad effettuare nuove registrazioni nel proprio garage-studio, avvalendosi di nuovi musicisti emergenti ma anche di ‘vecchi’ ma ancora validi artisti degli anni ’50, oramai da tempo fuori dal giro.

Primo fra questi un certo Ray Campi, ora insegnante di inglese, che conta un unico buon successo rockabilly nel 1956 con la sua ‘Caterpillar’.

Campi è un ottimo musicista polistrumentista e su di lui Ronnie basa quello che poi diventa il Rollin’ Rock Sound. 

Un ‘suono’ scatenato, trascinante, molto ‘pulito’ e ruspante, che si ispira a quello pionieristico realizzato nei ’50 da piccole etichette come, ad esempio, la Sun Records di Memphis.

Dal 1973 Ronnie inizia a pubblicare album di ‘vecchi’ artisti rockabilly quali Campi, Mac Curtis, Johnny Carroll e Jackie Lee Cochran, ma da’ spazio anche a nuovi giovani artisti del genere, quali Colin Winski, Jimmie Lee Maslon, Johnny Legend, Billy Zoom. 



E del 1980, prodotto da Ronnie, è anche ‘American Music’, primo album dei Blasters, grande formazione californiana dei fratelli Phil e Dave Alvin.

Indubbiamente l’attività svolta da Ronnie in questi anni diventa uno degli elementi portanti del grande ‘rock and roll revival’ che ha luogo sia negli Stati Uniti che in Europa, con la nascita di nuove etichette discografiche che riscoprono vecchie e dimenticate registrazioni e anche attraverso spettacoli e tour revivalistici, che riportano alle luci della ribalta artisti dimenticati, ma ancora vigorosi e sempre validi.
 
Gli Stati Uniti

Il mio interesse per gli Stati Uniti era nato fin da bambino attraverso i fumetti di Topolino e soci, ma anche quelli western di Tex Willer e, in particolare, di Pecos Bill.

Poi si aggiunsero i film americani, western e non, e i romanzi gialli, principalmente quelli dell’investigatore Philip Marlowe e dell’avvocato Perry Mason, entrambi ‘residenti’ a Los Angeles.

Curiosamente l’autore di Marlowe, Raymond Chandler, aveva un ‘collegamento’ con la famiglia di Randy, in quanto lo scrittore aveva abitato dal 1949 fino alla morte, nel 1959, a La Jolla (San Diego), ed era stato un cliente abituale della stazione di servizio dove lavorava il padre di Randy.

Durante i tre anni delle scuole medie e i primi due di istituto tecnico, per recarmi a scuola transitavo obbligatoriamente da una piazza dove stazionava una di quelle mitiche bancarelle di libri e riviste usate di una volta, oggi quasi del tutto scomparse.

Qui furono inevitabili centinaia di fermate per osservare ‘questo e quello’, cose fra lei quali figuravano anche corpose quantità di riviste americane di grande formato e super illustrate, come Life, Look, The Saturday Evening Post e altre che, in parte, iniziai a comprare in quanto, oltre ad offrire foto di vari luoghi e genti e spettacolari pagine pubblicitarie che mostravano ‘spezzoni’ di vita americana, mi servivano anche per far pratica della lingua inglese che stavo studiando.




domenica 11 dicembre 2016

ELVIS PRESLEY - Extended Play italiani

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima della guida "ELVIS PRESLEY  -  Extended Play italiani" 
a cura di  Augusto Morini  (3a puntata) che appare sul n° 92 della nostra rivista 
che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it


Il 78 giri di ‘Heartbreak Hotel’/’I was the one’ è il primo disco di Elvis ad esser pubblicato in Italia, nel maggio 1956.

E nella pubblicità effettuata contemporaneamente dalla RCA sulla rivista mensile ‘Musica e Dischi’ Elvis è soltanto uno dei tanti artisti dell’etichetta.

A giugno però il cantante, sempre sulla stessa rivista, comincia a distinguersi dagli altri con un rettangolo tutto suo che segnala ‘Heartbreak Hotel’ come ‘disco del mese’.

Di settembre è l’uscita del suo primo E.P. ‘Rock’n’Roll Rhapsody’ dove, in contrasto con le direttive del Colonnello Parker, manager del cantante, Elvis, sempre con la stessa canzone, figura al fianco di altre tre artisti.


   
A ottobre finalmente Elvis viene ‘lanciato’ alla grande come ‘Re del rock and roll’ con un paginone rosso fuoco che annuncia l’uscita contemporanea di ben sette 78 giri, un 45 giri, un Extended Play e un Long Play.

 All’epoca i dischi maggiormente diffusi erano ancora i 78 giri ma fra di loro e gli ancora poco conosciuti 45 giri, a due canzoni, e i più costosi 33 giri si inserisce l’Extended Play, un 45 giri a ‘lunga durata’ che offre quattro canzoni ad un costo in genere inferiore a quello di due 45 giri e che si presenta con una affascinante confezione fotografica ‘cartonata’ che riproduce in piccolo quella degli LP.

La produzione discografica di Elvis prosegue intensa sulle quatto tipologie di dischi fino alla primavera del 1958 quando si interrompe l’emissione dei 78 giri.




La ‘battaglia’ sul mercato della popolarità prosegue fra il 45 giri singolo e l’EP, a suon di nuove uscite e ristampe delle precedenti su entrambi i fronti ma verso l’inizio dei ’60 l’EP inizia a perdere terreno nel favore del pubblico e per quanto riguarda Elvis, le ultime ‘nuove’ uscite sono del 1962.

Fra il 1963 e 1964 vengono rieditati alcuni suoi vecchi EP, anche con copertine ‘aggiornate’ con la sua immagine del momento, ma il tentativo non riesce e le vendite sono basse, e ciò spiega anche la rarità di alcune di queste edizioni.

A questo punto la RCA chiude la produzione del 45 giri EP, salvo utilizzarlo ancora in seguito, sporadicamente, per particolari edizioni promozionali fuori commercio.
  
Questo lavoro vuole passare in rassegna tutti gli EP italiani realizzati a nome di Elvis, con le relative riedizioni conosciute fino a questo momento ma, viste le esperienze avute negli anni, non è escluso che ve ne siano altre ancora  mancanti all’appello.

Di diverse edizioni segnalate nell’elenco si hanno delle notizie, più o meno complete, ma non ancora la conferma fisica della loro esistenza.





..continua sul n°92 di Jamboree Magazine.





sabato 19 novembre 2016

ANN-MARGRET



Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di  Augusto Morini  che appare sul n° 92 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 

Ann-Margret Olsson nasce il 28 aprile 1941 a Valsjobyn,contea di Jamtland. piccola località situata al centro della Svezia e vicino al confine con la Norvegia. 

Nel 1942 il padre si trasferisce negli Stati Uniti per lavoro e nel 1946 lei e la madre lo raggiungono, riunendo così la famiglia che si stabilisce a Wilmette, Illinois, vicina a Chicago.

Naturalizzata americana nel 1949, Ann-Margret inizia a prendere lezioni di pianoforte, canto e danza fin da piccola, dimostrando una grande propensione per il ballo. Nei primi anni ’50 partecipa ad alcuni programmi televisivi locali per dilettanti, mentre del 1957 è invece l’apparizione al più famoso ‘Ted Mack’s Amateur Hour’, trasmesso a livello nazionale.

Del gennaio 1959 è la sua prima incisione, Heat Wave’ di Irving Berlin, inserita in un album amatoriale realizzato dalla sua High School.

Nel 1959 inizia gli studi universitari alla Northwestern University e con alcuni compagni forma un gruppo denominato The Suttletones che si esibisce nei night dell’area di Chicago e poi anche in California e a Las Vegas.

Alla fine dell’estate del 1960 abbandona gli studi per dedicarsi alla carriera e quando si esibisce al Dunes Hotel di Las Vegas viene notata dal noto attore ed entertainer George Burns che la ingaggia per il suo spettacolo natalizio al Sahara Hotel.

L’interesse suscitato la porta, all’inizio del 1961, a effettuare il suo primo provino cinematografico per la 20th Century Fox, che la mette sotto contratto, e poi a firmare un contratto discografico con la RCA Victor.
Dopo un primo singolo senza storia il secondo ’I just  don’t understand’ esce verso l’estate ottenendo un buon risultato di classifica (n.17 Pop), che però rimane anche l’unico. Fra il 1961 e 1962 altri due singoli entreranno negli Hot100, restando comunque in posizioni bassissime.

Ceduta in ‘prestito’ alla United Artists, inizia a lavorare nel suo primo film ‘Pocketful of Miracle’ (Angeli con la pistola), con Bette Davis e Glenn Ford, film che debutta nel dicembre 1961. La sua interpretazione le frutterà un ‘Golden Globe’ come ‘Most Promising Newcomer-Female’.

Sul fronte discografico la RCA, grazie alla sua bravura e avvenenza, la lancia come ‘una versione femminile di Elvis Presley’ facendole incidere anche brani che si avvicinano al sound di Elvis, fra i quali anche ‘Heartbreak Hotel’.

Fino al 1964 gli album registrati in studio, che escono con risultati variabili, sono solo cinque: ‘And Here She Is...’ (Ottobre 1961), ‘On the Way Up’(1962). ‘The Vivacious One’ (1962), ‘Bachelor's Paradise’ (1963) e ‘Beauty and the Beard’ (Gennaio 1964), quest’ultimo realizzato con il trombettista Al Hirt.

In parallelo prosegue l’attività cinematografica con ‘State Fair’ (1962, Alla fiera per un marito) film musicale che vede anche la presenza, fra gli altri, di Pat Boone e Bobby Darin. Con esso la ragazza ottiene un ‘Golden Laurel’ per la ‘Top Female Musical Performance’.

Nell’aprile 1963 appare un altro film musicale ‘Bye bye Birdie’ (Ciao, ciao Birdie) che, sulle tracce della vita di Elvis, propone la storia di un idolo del rock che deve partire per il servizio militare. Qui Ann-Margret è sempre più sexy e letteralmente scatenata nei balli e si merita un nuovo ‘Golden Laurel’ per la ‘Top Female Comedy Performance’ e una ‘Golden Globe nomination’ come ‘Best Motion Picture Actress-Musical/Comedy’.

L’omonima colonna sonora sale al n.2 della classifica degli LP e rimane nella chart per oltre un anno. Nel maggio 1964 esce ‘Viva Las Vegas’ altro film musicale dove, dopo l’imitatore di ‘Bye bye Birdie’, questa volta l’attrice è al fianco dell’originale e Elvis, col quale si dice nasca una certa storia.

Ad ogni modo i due resteranno sempre amici e nel 1977 sia lei che il marito Roger Smith saranno a Memphis per il funerale di Elvis. Per ’Viva Las Vegas’ lei registra diversi brani che però discograficamente, all’epoca rimangono inediti.





domenica 23 ottobre 2016

The Stormy Six

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di  Luca Selvini che appare 
sul n° 92 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it

 Il panorama del “beat italiano” ha saputo dar voce a decine e decine di gruppi che sono giunti alla ribalta e che hanno lasciato meravigliose pagine di “storia musicale”, e oggi è venuto il momento di occuparci degli Stormy Six, importante band che ha attraversato diverse decadi, passando dal beat iniziale e successivamente alla psichedelia e al country-rock, per poi approdare alla “canzone di impegno politico” negli anni settanta.

Ovviamente data la particolarità della rivista e i temi in essa trattati ci soffermeremo di più, parlando della carriera del gruppo, sul periodo che ci interessa.
Il gruppo nasce nel 1965 tra il giro degli studenti liceali milanesi dell’Istituto Gonzaga ed è composto da Giovanni Fabbri all’organo, dal cantante Maurizio Masla, da Alberto e Giorgio Santagostino, rispettivamente al basso e alla batteria e dai chitarristi Maurizio Cesana e Mario Geronazzo, questa formazione a sei lascia intendere che i ragazzi vogliono seguire in qualche modo le orme dei ben più noti concittadini New Dada, soprattutto nello stile elegante con cui si presentano dal vivo (in questa prima fase alle feste studentesche e ai compleanni), mentre il repertorio che va proponendo è composto da personali rivisitazioni di classici del periodo tra i quali spiccano Woolly Bully di Sam The Sham & Pharaohs, Time Is on My Side dei Rolling Stones, House of the Rising Sun, nella versione degli Animals, e ancora Needles and Pins dei Searchers, I'll Go Crazy di James Brown, Go Now! dei Moody Blues e For Your Love degli Yardbirds.

Contemporaneamente è attivo un altro gruppo che ha lo stesso assetto degli Stormy Six, ovvero Gli Stregoni, formati dal chitarrista Franco Fabbri; con lui troviamo il bassista Alberto Bianchi, l’organista Franco Arena, il batterista Toto Zanuso più un chitarrista che suona la 12 corde acustica di nome Franco Lombroso e Peppo Mazzantini  in qualità di secondo “bassista” (suona in realtà una rarissima chitarra tenore), sono tutti giovanissimi, non ancora maggiorenni e provengono da un altro istituto liceale di Milano, suonano vari brani strumentali degli Shadows tra i quali Round and Round, Shindig, The Rise and Fall of Flingel Bunt, pezzi dei Beatles soprattutto tratti dagli album “A Hard Day's Night” e “Beatles for Sale”, e dei Byrds, alternati a personali arrangiamenti di autori italiani come Sergio Endrigo o classici “ballabili lenti a richiesta” come spesso accadeva all’epoca.

Sempre nel 1965 Gli Stregoni hanno l’opportunità di imbarcarsi come musicisti per una crociera nel Mediterraneo a bordo di una nave (la “Ivan Franko” una nave dell’Unione Sovietica per la precisione) e qui hanno modo, suonando ogni sera, di affinare la loro tecnica e personalizzare la propria immagine sfoggiando impeccabili pantaloni di panno blu e camicie azzurre con lo jabot; poco tempo dopo il loro ritorno però, all’incirca nell’autunno dello stesso anno il gruppo ha un momento di sbandamento e Toto Zanuso ne approfitta per andare a sostituire il dimissionario Giorgio Santagostino nei “rivali” Stormy Six; anche Arena e Mazzantini decidono di abbandonare la scena e a questo punto Gli Stregoni si riorganizzano come quartetto con Franco Fabbri, Alberto Bianchi, il nuovo batterista Sandro Doria (uno che aveva precedentemente suonato con Fabbri e Bruno Graceffa in un gruppo amatoriale al Liceo Beccaria), più un bravo chitarrista di nome Luca Piscicelli e con questa formazione lasciano da parte i pezzi strumentali, con Fabbri in qualità di cantante e aggiungono brani dei Beatles e dei Rolling Stones, dei primi Kinks (All Day and All of the Night, Tired of Waiting For You), e persino dei Rokes, riprendendo una forsennata attività “live” e suonando spesso sugli stessi palchi cittadini in cui si esibisce Zanuso con i suoi nuovi compagni.

Già nella primavera del 1966 però avvengono dei cambiamenti drastici in entrambi i gruppi e dopo che Maurizio Cesana ha deciso di andarsene, Franco Fabbri entra in pianta stabile negli Stormy Six; questo episodio produce come contraccolpo il brusco scioglimento degli Stregoni, Alberto Bianchi si ritira ben presto dal mondo musicale mentre Luca Piscicelli se ne va a suonare con i Cellarmen (altre volte sono citati come Cellarman), uno dei tanti complessi milanesi dello stesso giro di locali, in seguito a metà dello stesso anno anche Mario Geronazzo decide di lasciar perdere il gruppo per cui Giovanni Fabbri passa a suonare la chitarra lasciando il posto al piano e all’organo ad un bravo musicista di nome Fausto Martinetti; con questa formazione alla fine del ‘66 gli Stormy Six risultano vincitori del “Festival Studentesco” tenutosi al Palalido e iniziano ad esibirsi regolarmente al Piper, al Voom Voom e al Bang Bang, locali di punta milanesi, in più riescono ad ottenere un contratto con la Bluebell, la stessa casa discografica dei New Dada, che proprio in questo periodo stanno vivendo una grossa crisi che li porterà allo sfaldamento nel giro di poche settimane; entrano poi in sala d’incisione per registrare il loro primo 45 giri, che uscirà nel 1967 per la Mini Records, una sottoposta della Bluebell. Il singolo ospita sulla facciata A una versione italiana di “All Or Nothing” degli Small Faces, scritta da Mogol e Monti Arduini e intitolata Oggi piango, mentre il retro è una composizione originale di Franco Fabbri, Il mondo è pieno di gente, una ballata folk-beat con un bel suono di una chitarra a dodici corde e un testo che getta uno sguardo laconico sulla vita quotidiana.


Ma intanto all’interno del gruppo c’è stato un avvicendamento, Giovanni Fabbri se ne è andato e i ragazzi chiamano al suo posto il redivivo Luca Piscicelli che infatti viene ritratto nel manifesto promozionale del disco; con lui in formazione in aprile gli Stormy Six partecipano come “supporter” al tour dei Rolling Stones, portati in Italia dall’impresario Leo Wächter per una serie di date, in un pacchetto di gruppi spalla che comprende oltre a loro anche i Moschettieri, Ferry, Franco, René, Danny e Gaby, The Sleepings, i Messaggeri, gli esordienti New Trolls, la cantante Fiammetta accompagnata dai Gringos e un insolito Al Bano col gruppo Gli Strani; in questo periodo il gruppo dal vivo propone anche qualche rivisitazione di brani soul e R&B come Hold On I’m Coming dal repertorio di Sam & Dave o My Baby, che i ragazzi avevano ascoltato al Piper suonata dai Dave Anthony’s Moods, e per questo Franco Fabbri cerca di imparare a suonare il sassofono, strumento essenziale per quel genere di canzoni.
 

venerdì 7 ottobre 2016

Sostieni JAMBOREE '50 & '60 MAGAZINE!


Cari lettori del Blog,

Dopo vent'anni dedicati alla musica, cinema e cultura anni 50-60 con il periodico JAMBOREE, ho deciso di utilizzare l'opportunità di 'raccolta fondi' per poter continuare questo progetto. Il calo di investimenti da parte delle aziende di settore per la pubblicità su carta mi spinge, per coprire le spese, a rivolgermi a voi appassionati. Vi chiedo gentilmente di condividere con più persone e gruppi possibili questo mio appello oltre che a partecipare eventualmente voi stessi con un piccolo pensiero.   Grazie!




sabato 4 giugno 2016

INTERVISTA A GRAZIANO ZOIA (dai Rocky+4 ai Cicisbei 70)

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Maurizio Maiotti e Graziano Dal Maso che appare 
sul n° 91 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it


Fra i tanti complessi attivi in Italia negli anni ‘60 uno si è sicuramente distinto per l’originalità del nome e del costume di scena. Si tratta dei Cicisbei 70 di Gallarate, in provincia di Varese. 
Anche se solo per un breve periodo, legato esclusivamente alla collaborazione col cantante Franco Talò, i ragazzi indossavano splendidi abiti settecenteschi, con tanto di parrucche, come visibile sulle copertine dei singoli e in un paio di servizi fotografici.

Qualche mese fa, io e il mio collaboratore Graziano Dal Maso, abbiamo incontrato il cantante bassista dei Cicisbei 70, Graziano Zoia.

Lui e sua moglie ci hanno accolto con molto affetto in casa e davanti ad una scatola piena di foto ricordo abbiamo ripercorso la sua gioventù.

Graziano nasce a Gallarate nel 1941 e fin da giovanissimo si appassiona alla musica. Suo padre suonava il sassofono, mentre lo zio era direttore di una banda di paese.

Ci racconta che ascoltava con vivo interesse la radio e cantava per diletto i motivi che trasmettevano.

Quando poi conosce un amico pianista decidono di esibirsi insieme in alcuni spettacoli pomeridiani all’oratorio.

Ben presto si propone come cantante solista partecipando a vari concorsi per ‘voci nuove’ e portando spesso a casa il primo premio.

Grande successo lo ottiene al concorso ‘Ribalta d’Oro’, a Legnano, con il brano Diana di Paul Anka.

Notato dal maestro Bonicalzi viene subito ingaggiato nella sua orchestra Hot Jazz.

Intanto Graziano studia chitarra classica per poi passare al basso, strumento più facile da gestire per chi cantava. Il canto è per lui una dote innata ed è completamente autodidatta.

Da Hot Jazz diventano Rocky+4 e poi Cicisbei 70 quando inizia la collaborazione con Franco Talò, che reduce dall’evento ‘Un Disco per l’Estate’ cercava un gruppo nuovo.

E’ proprio Talò a proporre il nome e l’idea dei costumi, e con lui incidono subito un singolo.

Suonano spesso anche a Milano in posti come La Triennale, la Punta dell’Est e il Derby, tra l’altro dal vivo
senza le parrucche.

Purtroppo il sodalizio con Franco Talò dura poco tempo e le loro strade si dividono.

Siamo nel 1967 ed è anche l’anno in cui Graziano si sposa. I Cicisbei, con alcuni cambi di formazione, proseguono il proprio cammino fino al 1971.

Per tutto l’anno seguente accompagna Renato dei Profeti, mentre dal 1973 al 1975 riforma, con altri musicisti, i Cicisbei 70. Altri cambi di formazione e anche del nome, diventando Krishna Isa, formazione durata circa 7/8 mesi.

Nella seconda metà degli anni ‘70 Graziano con il gruppo Hydra incide due singoli e, con un repertorio a base di motivi ballabili, si esibisce in parecchi locali tra cui ‘La BussolaDomani’ di Viareggio, al fianco di artisti come Shel Shapiro, Little Tony, Decibel, i Panda, Loredana Bertè, Donatella Rettore ecc…

Segue poi una collaborazione con Enzo Iacchetti col quale, incide un album nel 1983, e lavorano un mese al Derby Club di Milano.

Con l’amico Marcello poi mette insieme un duo attivo dal 1983 fino ai primi anni ‘90.

Apre poi una produzione Video-Project a Besnate, con il socio chitarrista Claudio Ferrara, e fanno parecchio Off-Shore seguendo le gare di motoscafo.

Non mancano naturalmente vari lavori industriali, qualcosa per la TV e filmati istituzionali per le fiere. Chiude poi l’attività nel 1998 per malattia.

Quando gli abbiamo chiesto qual’è stato il periodo musicale migliore della sua carriera non ha esitato a dire quello tra il 1970-1971, la seconda formazione dei Cicisbei 70, dove militavano nel gruppo Adalberto Zappalà e Antonio Pastorello.

... ma vediamo ora con lui nel dettaglio la storia dei Cicisbei 70...

Siamo agli inizi del 1962, quando Gianni Bonicalzi, pianista e responsabile degli Hot Jazz - gruppo, già in voga dal 1959, che proponeva musica da ballo e melodico nelle varie sale del Gallaratese - legge sul giornale che il suo concittadino, il diciottenne Graziano Zoia, risultava vincitore della prestigiosa manifestazione canora ‘Ribalta d’Oro’ svoltasi a Legnano, e lo contatta immediatamente per inserirlo nel suo organico.

Graziano (voce, contrabbasso, chitarra) porta una ventata di rinnovamento nel loro repertorio inserendo anche il rock & roll (Diana, Il tuo bacio è come un rock, Tutti frutti, Stand by me, ecc…).

Debuttano al dancing ‘Argentina’ di Gallarate e con il passare del tempo e con qualche cambio di formazione, viene inserita anche una voce femminile, Bruna Moalli, e Graziano diviene il responsabile musicale.

Alla fine del 1962 si decide di cambiare nome al gruppo, Graziano grande appassionato di boxe propone Rocky+4 (vedi Rocky Graziano, pugile degli anni ’40), non mancano poi altri cambi di elementi.

Entrati nel 1963 cambiano i gusti musicali e la fisarmonica viene messa da parte per dare più importanza alle
chitarre. Graziano lascia il contrabbasso per la chitarra basso. Arriva alla chitarra solista Luigi “Gigi” Giudici.

L’anno seguente, mentre la musica beat si fa lentamente strada, Graziano decide di dare una svolta radicale al gruppo rivoluzionando il repertorio e con esso la formazione. Inserisce quindi Paride Valsesia alla batteria e voce e Giancarlo ‘Gianco’ Colombo alla chitarra ritmica e voce.

Nell’agosto del 1965 suonano alla ‘Taverna del Rosa’, un locale di Macugnaga, dove fanno amicizia con Paolo Santana Tollini, cantante e conduttore della Radio Svizzera Italiana. Paolo chiede a Graziano di scrivere una canzone per il concorso ‘Festival del Rosa’ e la canzone Macugnaga …e tu, eseguita dallo stesso Paolo accompagnato da Rocky+4, risulta essere la vincitrice del concorso realizzandone anche subito un singolo come Paolo con Rocky+4.

giovedì 12 maggio 2016

Lee Andrews & The Hearts

 Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Roberto Giuli che appare sul n° 90 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it

Eccellenti esecutori di ballads, Lee Andrews And The Hearts furono largamente apprezzati anche dal pubblico bianco.

Andrew “Lee Andrews” Thompson, nato nel 1938 a Goldsboro, North Carolina (figlio d’arte avendo il padre Beechie militato nei Dixie Hummingbirds), forma i Dreamers a Philadelphia nel 1952, insieme ai tenori Roy Calhoun e Thomas “Butch” Curry, al baritono Jimmy McCalister ed al basso John Young; il loro repertorio perlopiù ad andamento lento, è influenzato da gruppi come Five Keys, Five Royales, Orioles e Ravens mentre la voce del leader strizza l’occhio a Frank Sinatra e Nat “King” Cole.

All’inizio del 1954 i Dreamers effettuano un provino in un programma condotto dal dj Kae Williams presso la stazione radio WHAT, dove eseguono due brani, Maybe You’ll Be There (successo del 1948 per Gordon Jenkins) ed il classico Bells Of St.Mary.

Williams rimane impressionato favorevolmente, tanto da presentare il gruppo ai fratelli Bobby ed Eddie Heller, quest’ultimo proprietario della Rainbow Records presso la quale il gruppo è scritturato; cambiano quindi nome in Lee Andrews and the Hearts e, oltre ai brani eseguiti per Kae Williams (soprannominato “Jet Pilot”), incidono la cristallina White Cliffs Of Dover.

Nel 1955 McCalister parte per il servizio militare e viene rimpiazzato da Ted Weems, mentre Wendell Calhoun sostituisce John Young che lascia di lì a poco.

Con il nuovo organico, firmano un contratto per la Gotham di Ivan Ballin dove, a parte una versione di In My Lonely Room dei Larks registrano, tra le altre cose, una prima versione di Try The Impossible e Long Lonely Nights.

Quest’ultima, una ballad strappalacrime, viene reincisa e pubblicata nel luglio 1957 dalla Mainline il cui proprietario, Jocko Henderson, ne cede i diritti alla Chess; diviene un grande successo e raggiunge sia le classifiche pop che r&b.



..continua sul n°90 di Jamboree Magazine.




lunedì 18 aprile 2016

Silvana Pampanini - in ricordo di Ninì Pampan



Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di  Silvia Ragni  che appare sul n° 90 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it


La sua ultima apparizione al cinema, un’esilarante sketch con Alberto Sordi ne “Il tassinaro”, concentra in pochi minuti la sua quintessenza: la travolgente esuberanza, una “romanità” spiccata, l’ironia, l’allure da diva “affabile” che sa ridere di se stessa.

Non è un caso che di Silvana Pampanini, negli articoli che hanno commentato la sua scomparsa, siano state ricordate in primis la solarità e la simpatia contagiosa.

Classe 1925, nata a Roma il 25 settembre, “Ninì Pampan” - come la ribattezzarono i francesi - abbinava a quelle doti una bellezza abbagliante, che nel ‘46 le valse il titolo di Miss Italia ex aequo con Rossana Martini.

E’ proprio grazie a quel concorso che ebbe inizio la sua carriera nello showbiz: il seducente sguardo azzurro, una fluente massa di capelli castani, il corpo flessuoso e, soprattutto, le splendide gambe che anche in età avanzata inguainava con orgoglio nei fuseaux furono sempre i principali atout di quella studentessa del Conservatorio diplomata alle Magistrali, che la vittoria reclamata a furor di popolo come Miss rese immediatamente celebre.

Avvenente a tal punto da suscitare un’accalorata “rivolta” del pubblico nei confronti delle scelte della Giuria, Silvana fu incoronata “più bella d’Italia” nel tripudio generale.

La scia di polemiche che ne seguì, rimbalzando tra radio e carta stampata, provocò un boom di interesse che non passò inosservato negli studi di Cinecittà.

Sommersa da proposte di ingaggio, dopo solo pochi mesi la Pampanini imperversava a ritmo ininterrotto sul grande schermo.

Le pellicole che la videro protagonista furono inizialmente a carattere musicale, dove il suo amore per il canto veniva ampiamente valorizzato.

Nipote del soprano lirico Rosetta Pampanini, Silvana non trascurò mai il talento che gli anni di Conservatorio avevano contribuito ad affinare.

E se nei primi film che interpretò ne venne di frequente doppiata la voce ciò non accadde per le parti cantate, in cui fa sfoggio di un’impeccabile formazione musicale: un dettaglio di cui si rivengono tracce nei numerosi dischi, a 78 e 45 giri, che incise per un buon decennio a partire dal 1947.

Gli anni ’50 erano in procinto di iniziare e la fisicità curvilinea, esplosiva di Silvana Pampanini lanciava un modello di donna del tutto inedito che diverrà il prototipo della “maggiorata”.

Ancor prima di Silvana Mangano e di Sophia Loren i rotocalchi, i cinegiornali erano intenti a magnificare gli attributi di colei che, nel corso degli anni, riuscì ad ammaliare Totò ed uno stuolo di prestigiosi pretendenti internazionali.

Coadiuvata dal padre che, dapprima contrario alla sua carriera di attrice, ne divenne poi il manager, “Nini Pampan” entrò nel cinema dalla porta principale: a “I pompieri di Viggiù” (1949) seguirono, tra le altre, pellicole come “47 morto che parla” (1950), “O.K. Nerone” (1951),  “Bellezze in bicicletta” (1951) – dove canta l’omonima canzone divenuta un emblema epocale – “Processo alla città” (1952), “La presidentessa” (1953), “Un giorno in pretura” (1953), “La bella di Roma” (1955), “Racconti romani” (1955) - tratto da una raccolta di novelle di Moravia - “La strada lunga un anno” (1959), che ricevette una nomination all’Oscar e fu premiato in qualità di Miglior film straniero ai Golden Globe.

Diretta da registi quali Pietro Germi, Luigi Comencini, Luigi Zampa, Mario Soldati e Giuseppe De Santis (per citarne solo alcuni), Silvana recitò accanto a prestigiosi nomi della nostra cinematografia tra i quali ricordiamo Totò, Walter Chiari, Peppino De Filippo, Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Amedeo Nazzari, Vittorio Gasmann, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Renato Rascel, Amedeo Nazzari, Rossano Brazzi, Paolo Stoppa e Massimo Girotti.

La distribuzione ed il successo internazionale di molti film a cui la Pampanini prese parte la resero una star mondiale, annoverando nell’elenco dei suoi partner professionali interpreti del calibro di Jean Gabin, Buster Keaton, Pierre Brasseur e Jean-Pierre Aumont.

Ormai “di casa” in Francia, Spagna, Egitto, Messico e Argentina dove apparve sia sul set, che nelle vesti di
portavoce del cinema italiano, l’esuberante diva non fu mai attratta - nonostante le numerose richieste – da una carriera hollywoodiana.

All’apogeo della fama, i tabloids stilarono un’interminabile elenco di teste coronate, attori di prim’ordine, eredi al trono che si invaghirono di lei perdutamente senza però riuscire a “Ho avuto più corteggiatori che mal di testa”, ha sempre dichiarato Silvana, eppure evitò categoricamente di convolare a nozze con chicchessia.
conquistare a lungo termine il suo cuore.

Amava raccontare di un amore indimenticabile, di un fidanzato che, nel ’52, a un mese dal matrimonio scomparve a causa di una malattia: decise allora che non si sarebbe mai sposata, sbandierando vita natural durante il suo status di single con fierezza. 

Del corteggiamento di Totò si parlò a lungo, a cavallo tra il 1950 e il 1951: quel che è certo, è che il Principe De Curtis rimase completamente folgorato dall’attrice romana.

Ciononostante.....

domenica 27 marzo 2016

UN BRUTOS A CASA MIA!


Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di  Franco "Jack The Cat" Malatesta che appare sul n° 90 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it

Il periodo natalizio è tempo di felicità, regali e occasione per stare insieme ai propri cari. In questo dato periodo, nel 2014, provai a farmi un regalo molto personale:  chiesi, in punta di piedi, ad un personaggio famoso se era disposto a incontrarmi per un’intervista.

Con mio stupore, ne strappai una promessa!“Dove vogliamo incontrarci?” mi chiese. Io gli risposi che per stare tranquilli potevamo fare anche a casa mia, ma l’ho sparata lì, abito fuori Milano (costringo una star degli anni ’60 a farsi il viaggio fino a casa mia? Ma và, farà una controproposta). E invece mi sorprese, accettando molto volentieri!

Il primo appuntamento era fissato per il 27 dicembre. Ma poi, incontri con i propri cari e altro, in quel periodo lì, esauriscono il tempo libero.
La star quindi ha rilanciato: “Senti, facciamo il 5 gennaio? Ti va??”
Ma come “mi va???” – CERTO che mi va!

Appena chiusi la comunicazione, ripensai a tutti quei personaggi che ho incontrato durante gli anni, cantanti di cui ascoltavo i dischi negli anni ’80 e ‘90: Ray Campi (con cui ho collaborato come batterista), Marvin Rainwater (idem), Clem Sacco (idem), Johnny Powers (idem), Riz Samaritano (che incontrai per un’intervista, poi apparsa qui su Jamboree) e poi Sonny Burgess, Gene Summers, Hayden Thompson, Johnny Farina e altri.

E adesso incontro un altro personaggio musicale storico, che faceva parte di un gruppo che girò il mondo ed ebbe anni di “residency” negli USA: 

Gerry Bruno, il “dentino” dei Brutos.

Essendo classe 1971, ricordo Gerry anche alla radio, qui a Milano – più che altro, ne parlava mio fratello maggiore, all’epoca disc-jockey nelle radio della provincia milanese. E la radio è un argomento che ho sempre trovato interessante, per cui parlerò con Gerry anche di questo.

Gerry, parlami delle tue origini

La mia famiglia ha origine a San Cataldo (CL), e allora (come spesso anche oggi) si partiva verso il nord, con un biglietto di sola andata, per lavoro: approdammo a Torino.
Nacqui nel 1940, quinto in ordine di arrivo dopo due fratelli e due sorelle. 
Avendo avuto la fortuna di avere avuto due fratelli prima di me che avevano prestato servizio militare come ufficiali, io ne fui esente, sebbene feci lo stesso la visita medica: il generale che mi esaminò, nella vita privata era un direttore di sale da ballo, che già mi conosceva e mi apprezzava, grazie alle
mie serate in cui imitavo Jerry Lewis insieme al mio socio che impersonava Dean Martin. Era il 1958.
Ho sempre avuto una spiccata propensione all’arte: oltre all’avanspettacolo, mi piaceva molto ballare, mi piaceva il rock’n’roll, le moto, e a causa di questo (o grazie a questo) fui licenziato da un posto di lavoro che trovai con fatica presso la UTET, casa editoriale molto famosa, dove io mi occupavo di composizione di pagine enciclopediche: le serate di avanspettacolo continuavano, non solo a Torino, ma anche fuori, sulla costiera ligure ad esempio, e per fare ciò chiedevo permessi di continuo al lavoro. Non mi pregarono di rimanere.
Cercavo di entrare nel mondo dello spettacolo, sentivo quella essere la mia vocazione: il mio vicino di casa che suonava la chitarra, Jack Guerrini, ed io, andammo a fare un provino al Teatro Alcione di Torino, e ci
accolse il commendatore Zanfrognini, a capo dello stabile, a cui piacemmo così tanto che ci fece un contratto per 10 anni!
Da lì in poi avrei guadagnato soldi facendo ciò che mi piaceva fare di più! 
Guerrini venne messo a fare il cantante di una orchestra di rock, io insieme ad altri due attori, Giorgio Vacca e una ballerina di rock che si chiamava Giovanna, componevamo i Rock G3, nome originato dalle iniziali dei nostri nomi, ovvero un trio di ballerini rock, e Aldo Maccione era il comico che chiudeva lo spettacolo – eravamo la compagnia del Teatro dei Pazzi.
Dopo due settimane, provando quasi per scherzo durante le pause, Guerrini attaccò a cantare “Little Darlin’” dei Diamonds, e noialtri iniziammo a fare accompagnamento vocale, ma anziché copiare lo stile del disco, ne inventammo uno che prevedeva lo sguardo fisso nel vuoto, un accompagnamento vocale diverso dall’originale, e noi immobili.
Una cosa nata spontaneamente, per caso: ma alla gente piacque un casino!
Questo fu l’inizio dei Brutos: avevo 19 anni, era il 1959.

Poi, cosa accadde? I Brutos divennero famosi da subito all’estero, oppure no?

Bisogna dire che il nostro spettacolo divertiva molto il pubblico, che continuava a venirci a vedere.
Ma gli impresari mediocri dell’epoca, venendo noi dall’avanspettacolo, ci definivano “meteore”, e secondo molti di loro saremmo durati due o tre mesi al massimo.
Invece Zanfrognini SAPEVA che non era così, per cui ci portò nei maggiori teatri italiani a sue spese!
Sale da ballo a Riccione, la “Casina delle Rose” a Roma, e altri, principalmente perché questi posti erano frequentati da impresari di un altro livello: venivamo scorrazzati in lungo e in largo dentro una FIAT 1900 “Gran Luce” di proprietà del commendatore, e alloggiavamo in pensioni che prevedevano uno stanzone dove dormivamo tutti e 5 insieme. Pagava tutto lui, tanto credeva nel nostro potenziale.
Facevamo quindi le nostre serate, però come spesso accadeva, i pagamenti a seguito delle stesse arrivavano tardi, per cui eravamo spesso senza soldi per mangiare, sebbene il nostro mentore conoscesse posti dove
con 500 lire di allora ci mangiavano in 6 o 7.
Avevamo un furgone con i finestrini rotti, e spesso arrivavamo davanti agli hotel prima del loro orario di apertura, per cui eravamo costretti a dormire dentro il furgone mentre ne aspettavamo l’apertura.
Erano tempi così: per fare l’artista spesso si passava attraverso l’inferno, ma ci bastava la risata del pubblico per essere contenti.
Tutta questa prima gavetta diede i suoi frutti: andammo a Parigi a l’Olympia, lì diventammo delle star, e da lì cominciarono a piovere ingaggi per date oltreoceano, tra le quali Las Vegas (che documentai con abbondanza di foto) e New York, dove comparimmo persino al Ed Sullivan Show.
Stavamo gustando il successo, amavamo far ridere il pubblico.

A proposito di risate, ero bravo a raccontare le barzellette: le mimavo, le interpretavo, insomma, ai tempi era quasi una carriera parallela quella del barzellettiere, tanto che spesso mi pagavano pranzo o a cena, solo per l’aver fatto ridere gli amici o gli astanti.
Lo stesso Walter Chiari raccontava le barzellette che, magari, gli avevo appena raccontato nella mensa più di una volta in TV, nei programmi in cui era titolare o co-autore.

Avete fatto tanti night club: raccontami un po’ quell’epoca....


..continua sul n°90 di Jamboree Magazine.