mercoledì 24 dicembre 2014

La follia del twist

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Roberto Arioli che appare sul n° 86 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 


“C’mon Twist, Yeah, Baby Twist,
Yeah, Baby, Just Like This;
C’mon Little Sis, and Do the Twist.”

Il Twist è la conseguente esplosione della stagione dei balli, sono da considerarsi tra i fenomeni più significativi dell’epopea del rock’n’roll. Il ballo è sempre stato una componente importante nell’evoluzione degli stili musicali. Pensiamo solo al Lindy Hop che nasce addirittura negli anni venti oppure il Boogie Woogie, il Jitterbug o il Jive balli che hanno accompagnato l’evoluzione della musica jazz nei suoi variegati stili. Questi generi si svilupparono nelle comunità di colore ma ben presto divennero parte integrante della musica da ballo dei bianchi che li adattarono secondo concezioni Bluegrass o Hillbilly. Caratteristica principale di questi, è che si dovevano ballare in coppia. Con il Twist tutto ciò venne sovvertito.
Ogni ballerino interpretava i passi del ballo a suo modo non avendo bisogno di un partner con cui cimentarsi e con ogni probabilità questa fu la molla che fece esplodere la rivoluzione del Twist. Il ballo prese il nome dalla canzone The Twist che venne composta e interpretata da Hank Ballard, accompagnato dai Midnighters, pubblicata nel gennaio del 1959 su etichetta King come lato A del singolo a 45 giri (sul lato B c’era ‘Teardrops On Your Letter’). Caratterizzata da un ritmo vorticoso e sincopato ebbe un buon successo al punto di raggiungere la ventottesima posizione nelle classifiche.
Ma nel giugno del 1960 un giovane proveniente dalla South Carolina reinterpreta la canzone. Il suo nome è Chubby Checker, ha poco meno di diciannove anni ed è sotto contratto con la Parkway Records. Era il quarto singolo pubblicato da questo artista (uscì accoppiata a ‘Toot’) ed ebbe un grande impatto al punto di entrare velocemente nelle classifiche di vendita andando a raggiungere la prima posizione il 19 settembre del 1960. Ma una cosa era il brano in sè per sè ed una cosa erano le movenze che lo caratterizzavano. E qui entra in gioco lo strumento televisivo. Fin dall’estate del 1961, Chubby Checker partecipa a molte trasmissioni televisive tra cui il Dick Clark Show il 6 agosto, uno dei programmi più popolari dell’epoca. Ma la serata di maggior successo fu quella del 22 ottobre durante l’Ed Sullivan Show presso la rete televisiva CBS, dove interpreta The Twist. Quello che colpì maggiormente furono le movenze di Chubby Checker, il fatto di poter vedere i passi del ballo da unire al ritmo della canzone, inconsciamente sviluppò uno spirito di emulazione che con ogni probabilità fu la chiave del successo di questo ballo e della “pazzia” che conseguentemente scatenò.
L’impatto fu enorme, oltre a ritornare velocemente nelle classifiche (rientra il 13 novembre del 1961) fece esplodere la mania di muoversi al ritmo di Twist facendo diventare questa canzone l’inno di una stagione che non era solo musicale ma bensì di moda e costume. Gli strateghi delle case discografiche percepirono immediatamente che questo nuovo modo di ballare sarebbe stata un golosa occasione di maggiori vendite discografiche in quanto, non solo i giovani avevano recepito questo nuovo modello da copiare, ma anche il mondo degli adulti e di certi ambienti culturali, non voleva perdersi l’occasione di mettersi in mostra ballando il Twist. Emblematica la riflessione fatta dall’influente giornalista Tom Wolfe, tratta dal libro ‘La storia del rock’ di Carl Belz uscito per gli Oscar Mondadori nel 1975 (l’edizione originale inglese era del 1972):
“Il Peppermint Lounge! Tu conosci il Peppermint Lounge.


Una settimana dell’ottobre 1961, un po’ di gente del bel mondo, mettendosi alle costole di un paio di giornalisti di New York, scoprirono il Peppermint Lounge e nelle settimane seguenti tutto il jet set di New York andava scoprendo il twist, alla maniera dei decoratori del primo novecento che avevano messo le mani sulle maschere africane. Greta Garbo, Elsa Maxwell, la contessa Bernadotte, Noel Coward, Tennessee Williams e duca di Bedford erano tutti li, e gli ultimi arrivati davano biglietti da 5, 10 o 20 dollari alle guardie, ai portieri e ai camerieri soltanto per vedere il palco dell’orchestra e la pista da ballo grande come una cucina qualunque. In novembre Joey Dee, 22 anni, il capo orchestra del Peppermint Lounge, suonava il Twist al ricevimento dell’anno al Metropolitan Museum Of Art, a 100 dollari a posto.”

Queste brevi righe sintetizzavano di come l’impatto sociale del Twist sia stato senza uguali.
Il mondo dello “show business” stava affrontando un nuovo fenomeno di massa, senza alcuna distinzione di classe sociale, ceto ed età. Il successo musicale del Twist venne bissato da altri artisti sopra tutti gli Isley Brothers con Twist And Shout, Sam Cooke con Twistin’ The Night Away, Gary U.S. Bonds con Dear Lady Twist e con Joey Dee And The Starliters con Peppermint Twist e ancora Chubby Checker,
ormai decretato re del Twist con canzoni come
 Let’s Twist Again e Dancin’ Party. Non rimase esente il mondo della celluloide, tra il 1961 ed il 1962 apparvero una serie di pellicole improntate sul Twist. Tra questi film meritano di essere ricordati ‘Twist Around The Clock’ (E l’Ora Del Twist) con Chubby Checker, Dion e i Marcels, ‘Hey Let’s Twist’ (Balliamo Insieme Il Twist) con Joey Dee e Teddy Randazzo e ‘Twist All Night’ con Louis Prima e Sam Butera.
Compresa l’importanza di tale fenomeno le case discografiche cercarono di sfruttare in ogni modo questa “follia del ballo” inventandosi nuove danze come il Fly, il Madison, il Limbo, lo Swin, il Freddie, il Mashed Potatoes, il Popeye, il Jerk, il Pony e l’Hully Gully forse il ballo più famoso dopo il Twist. Il grande successo raggiunse anche il nostro paese. Senza ombra di dubbio fu il primo vero fenomeno di massa, di tipo musicale, proveniente dagli Stati Uniti che sfondò nel nostro paese.
 I maggiori cantanti furono Peppino di Capri ed Edoardo Vianello ma non rimasero esenti dall’infatuazione del Twist personaggi del calibro di Mina, Domenico Modugno, Adriano Celentano e i giovanissimi Gianni Morandi e Rita Pavone. Anche da noi venne prodotto qualche film sul Twist come ‘Canzoni A Tempo Di Twist’ con Peppino Di Capri, Edoardo Vianello, Giorgio Gaber, Little Tony e Pino Donaggio e con la partecipazione di Don Lurio che spiegava i passi del ballo nonché ‘Twist, Lolite e Vitelloni’ con Peppino Di Capri ma con la partecipazione di grandi attori come Fabrizi, Gino Bramieri e Tino Scotti che descrivevano, a loro modo, cosa voleva dire ballare il Twist. La stagione del Twist e dei balli che ne derivarono, non durò molto. I motivi erano molteplici, in primis il fatto di inventare nuovi balli ad ogni costo (sicuramente a meri fini commerciali) aveva forse snaturato la vera anima del rock’n’roll, facendo comprendere che si era di fronte ad un fenomeno prettamente modaiolo, e poi si era alla vigilia di una grande nuova rivoluzione che avrebbe visto protagonisti quattro giovanotti che provenivano da Liverpool i quali avrebbero definitivamente cambiato il rock’n’roll.......

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mercoledì 10 dicembre 2014

VADEMECUM DEL RETRO' - II parte

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Silvia Ragni che appare sul n° 86 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it 

Rubrica 'Vintage & Style' di Silvia Ragni

83 voci per riassumere lo stile anni ‘40 e ‘50


DECOLLETE’ - Seducenti e femminili, l’appeal di queste scarpe deriva dalla forma che scopre elegantemente il collo del piede e dal tacco a spillo, ideato da Salvatore Ferragamo negli anni ‘50: sottile e poggiato su una superficie di base ridottissima, può raggiungere anche i 17 cm di altezza. Per garantirsi un’andatura alla Marilyn, è la scarpa ideale.

DITA VON TEESE -
La celeberrima Burlesque performer statunitense incarna il ruolo di icona attualmente più imitata dello stile 50s. Bionda naturale, ha tinto i suoi capelli di nero e li ha acconciati ad onde creando un hairstyle da diva rétro che evidenzia al massimo il suo incarnato diafano color bianco latte. Le labbra rosso fuoco, l’utilizzo della più tipica e preziosa lingerie “old style”, abitini d’epoca che sono la quintessenza della seduzione, uniti ad una allure provocante ma assolutamente di classe. ne fanno la regina di un glamour d’antan diffuso ormai come una perla rara.

DORIS DAY - La “fidanzata d’America” rappresenta un tipo di bionda che si differenzia anni luce sia da Marilyn, che da Grace Kelly. Esuberante, e vivace, è tutto meno che “fatale” e al bon ton contrappone una fresca spontaneità. Il suo personaggio evolve avvolto, al tempo stesso, dal mito del perbenismo americano e della pruderie dilagante tanto da vederla incarnare stereotipi come quello della ragazza disposta a difendere ad ogni costo la propria virtù, facendole guadagnare l’appellativo di “vergine trentottenne”.
L’immancabile sorriso sulle labbra, il look rassicurante da “girl next door” volitiva, ma beneducata ed altruista, la associano ulteriormente ad una tipologia femminile prettamente anni ’50.

ESPADRILLAS - Dal catalano ‘espardenya’, erano le calzature più utilizzate dai pescatori e dagli agricoltori baschi già nel XIV secolo. A partire dal 1927 il brand barcellonese Castaner ne organizza la produzione industriale destinandole ai braccianti e - in seguito - ai soldati della Guerra Civile Spagnola, ma tra i fan delle espadrillas rientrano anche nomi del calibro di Pablo Picasso, Federico Garcia Lorca e Salvador Dalì. Negli anni ’40, queste scarpette in tela dalla suola piatta realizzata in juta intrecciata fanno furore negli USA: Grace Kelly si fa fotografare in espadrillas nelle più svariate occasioni, contribuendo al loro boom. Due decenni dopo sarà BB a renderle celebri in tutto il mondo, calzandole durante le sue estati tropeziennes. Ma è negli anni ’70 che la espadrillas mania vira al luxury. Castaner ne immette sul mercato una versione con zeppa e cinturino alla caviglia appositamente commissionata da Yves Saint Laurent: ha inizio l’era della “espadrilla couture”.

EYE-LINER - Uno strumento di importanza fondamentale per il make up: preferibilmente in versione liquida, dotato di pennellino, si usa per delineare ed allungare l’occhio verso la tempia. Va steso ad arte dopo l’ombretto (possibilmente color panna o avorio, molto chiaro), disegnando una riga sottile sulla palpebra superiore che parte dal centro dell’occhio fino ad arrivare alla sua estremità, creando una sorta di ‘virgola’.
Molto popolare anche negli anni ’60, l’eyeliner impreziosisce lo sguardo di ogni diva dell’epoca.

FIORI - I fiori e le fantasie floreali sono parte integrante del look di una pin up: colorati, scenografici, appariscenti, in stoffa impalpabile si intrecciano ai capelli per abbellire svariati hairstyle donando un tocco aggiuntivo di glamour rétro. Comuni anche le ghirlande portate al collo in stile Hawaii, all’insegna di un look vacanziero che negli anni ’50 del boom trova la sua massima espressione. Durante il Summer Jamboree di Senigallia, sono particolarmente diffuse in occasione della Festa Hawaiiana. 





FOULARD - Maison prestigiose come Hermés, Gucci, Ferragamo, Saint Laurent, Dior e Givenchy ne creano ricercatissimi esemplari in seta, e le star lo includono immediatamente tra i più sofisticati complementi di stile. Tutte lo vogliono: Grace Kelly, Sophia Loren, Audrey Hepburn, Jackie Kennedy sono solo alcune delle sue fan. Negli anni ’50 il foulard si porta principalmente come copricapo, con il quadrato di stoffa piegato a triangolo ed annodato sotto il mento. Doris Day osa una versione diversa e lo lega al collo, le due estremità che scendono sul decolletè come una sciarpa.

FRANGIA - Negli anni ‘40 e ’50 conosce una sola, inconfondibile versione: è corta, piena, bombata e lascia abbondantemente scoperte le sopracciglia. Ha una linea arrotondata leggermente più lunga nella parte centrale della fronte. Mitica quella di Bettie Page, che adotta su suggerimento del fotografo Jerry Tibbs senza immaginare che sarebbe diventato il suo “segno particolare” più universalmente celebrato. 

FRENCH TWIST - A fine anni ’50 si afferma come variante dello chignon, che da quel momento in poi si declinerà in molteplici e differenti versioni (non ultima, la cotonatissima choucrute di BB). Dalla tipica forma “a conchiglia”, il french twist richiede un sapiente supporto di forcine e lacca per fissare al meglio l’acconciatura. 

FULL SKIRT - Detta anche “gonna a corolla” o “gonna a ruota” si impone con il New Look di Christian Dior, che nel 1947 presenta una collezione destinata a rivoluzionare la silhouette femminile. Gli abiti, modellati sul corpo, hanno il compito di stilizzarne le forme: Dior sottolinea la vita e il volume dei fianchi, mette in evidenza il seno, e per strutturare i capi in modo ottimale li fodera di percalle e taffetà. La full skirt ha forma “a corolla” e vita strettissima, ed è inclusa anche nei celebri tailleur bar dalle linee arrotondate con maniche tre quarti. 

GILDA - Il celebre film che Charles Vidor gira nel 1946 diviene una pietra miliare dell’epoca. La sua protagonista, Gilda - interpretata da una Rita Hayworth per la prima volta in un ruolo di dark lady - entra nel mito lanciando uno stile indimenticato: la fluente capigliatura rosso fuoco pettinata ad onde e con riga laterale diviene l’acconciatura “simbolo” della femme fatale, e l’iconico abito in raso nero con scollatura dritta (creato dal costumista della Columbia Pictures Jean Louis) abbinato a lunghi guanti che raggiungono le spalle farà storia. La figura di Gilda rimane talmente radicata nell’immaginario collettivo da venir raffigurata sulla prima bomba nucleare testata dopo la Prima Guerra Mondiale nell’atollo di Bikini. Ed è sempre Gilda a ispirare, nel 1988, il cartoon di Jessica Rabbit nel film Disney “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”. Il soprannome “L’atomica”, intanto, racchiude in modo incredibilmente evocativo tutto l’esprit del personaggio che a Rita Hayworth rimarrà indelebilmente associato.

GLAMOUR - E’ il fascino patinato in senso lato. E’ glamour tutto il mondo della Old Hollywood, i divi e le dive che uniscono carisma, lusso e seduttività in un amalgama di perenne incanto. Ma sono glamour anche le Pin Up, rappresentanti di un fascino fatto di malizia, ironia ed erotismo perfettamente calibrati. Sono glamour, inoltre, tutte le icone che - in modo duraturo nel tempo - impongono il proprio stile singolarissimo ed esclusivo.

GRACE KELLY - Hitchcock la definìva “ghiaccio bollente” alludendo alla sua allure composta da ragazza “bene” che cela, nella sua essenza più profonda, una insospettabile passionalità. La futura Principessa di Monaco, nel suo ruolo di star di Hollywood incarna un mix unico di stile e personalità: mai sopra le righe, sfoggia un look bon ton che include gonne a corolla, colletti rotondi, abiti simili a prom dress e pantaloni Capri
abbinandoli a décolleté, immancabili guanti bianchi, foulard o ad eleganti cappelli di paglia a falda larga. Il tutto, frequentemente impreziosito da un sofisticato girocollo di perle.
Anche la sua chioma bionda, di lunghezza media e movimentata da onde, fa tendenza. Grace Kelly incarna il tipo della bionda “algida” ma desiderabile, seducente proprio in virtù della raffinatezza e delle “buone maniere” tipicamente upper class: è la moglie ideale, che garantisce di non far sfigurare neppure negli ambienti più esclusivi. Diventata Principessa di Monaco, la sua immagine iconica avrà un impatto tale da indurre la Maison Hermès a dedicarle un modello di borsa che, nel 1977, verrà ufficialmente ribattezzata Kelly bag.





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lunedì 1 dicembre 2014

I CAMALEONTI

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo di Luca Selvini che appare sul n° 86 della nostra rivista che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.it

Uno dei più longevi gruppi musicali italiani sulla scena ancora oggi pur se con notevoli cambi di personale (gli unici membri originali sono rimasti in due) è sicuramente quello dei Camaleonti, formazione nata nel 1965 ma che ha le sue origini parecchio tempo prima a Milano.

A quel tempo la città meneghina ha una vibrante scena musicale giovanile, avendo ospitato il primo festival Rock and Roll già nella seconda metà degli anni cinquanta, e parecchi musicisti cominciano ad affacciarsi alla ribalta dei vari locali e night-club sparsi per il capoluogo lombardo.

Nel 1962 i chitarristi Livio Macchia e Marco Reggè fondano I Beatnicks, un duo che si esibisce per divertimento alle feste e nei parchi all’aperto d’estate e durante una di queste occasioni essi incontrano il cantante e chitarrista Riki Maiocchi e Marco Minghinelli, trasformando I Beatnicks in un quartetto che suona un repertorio ispirato prevalentemente da gruppi come gli Shadows e i Champs; questa formazione però ha vita breve perché nello stesso anno Minghinelli e Reggè abbandonano e vengono sostituiti da Mario Perego, Roberto Cartago e dal sassofonista Giorgio Manzoli, a cui si aggiunge ben presto suo fratello Gerry al basso.

La band tira avanti con un assetto a sei fino al 1963, anno in cui i vari musicisti decidono di intraprendere nuove strade; Macchia, Perego, Cartago e Gerry Manzoli fondano il gruppo I Demoniaci con l'aggiunta di un secondo chitarrista che risponde al nome di
Giovanni Borettini e la voce di un giovanissimo Teo Teocoli (nel ’66 transiterà poi nei celeberrimi I Quelli), mentre Maiocchi tenta la via di una carriera solista.

Contemporaneamente in città sono molto attivi anche I Trappers complesso di cui fanno parte Mario Lavezzi (voce e chitarra), Tonino Cripezzi (pianoforte e voce), Bruno Longhi (basso e voce), Mimmo Seccia (chitarra e voce) e Gianfranco Longo (batteria), questi ultimidue finiranno poi assieme a Giorgio Manzoli nei Ragazzi della via Gluck, il gruppo accompagnatore di Celentano.

I Trappers nell’estate del 1964 sono affiancati dall’onnipresente Teocoli che canta per un po’ con loro prima di abbandonare la formazione alla vigilia dell’esordio a 45 giri coi brani Ieri/Lui, Lui non ha, rispettivamente cover di Yesterday dei Beatles e Louie Louie dei Kingsmen.

Sempre nel ’64 invece si formano I Marines, gruppo costituito da alcuni componenti dei Demoniaci con in più il redivivo Riki Maiocchi e il pianista Cesare Poggi; ma le intricate vicende di questi musicisti non finiscono qui, perché Livio Macchia inizia a dividere il suo tempo suonando anche con Marino Maurain et les Dragueurs e Maiocchi firma per la Columbia per la quale incide un singolo di modesto successo intitolato La tua vera personalità/Giovedì non mancare a cui fa seguito pochi mesi dopo una versione italiana di House Of The Rising Sun intitolata Non dite a mia madre; quando esce, il brano fa scandalo e per questo viene censurato subito (verrà ristampato poi col titolo La casa del sole, pezzo portato al successo dai Marcellos Ferial); sul retro in tutte e due le edizioni c’è la beatlesiana P.S. I Love You cantata nella nostra lingua e che ha la peculiarità di essere attribuita a Riki Maiocchi e i Mods che altri non sono se non i suoi ex compagni nel gruppo dei Marines.

Questi ultimi nel volgere di pochi mesi subiscono dei cambiamenti: restano Manzoli e Macchia e al posto di
Poggi subentra il chitarrista Augusto Righetti con in più il nuovo batterista Paolo De Ceglie e il sassofonista Marcello Olmari, in arte Gil Ventura e ben presto i cinque componenti cambiano nome in Augusto Righetti e Le Ombre ispirato chiaramente dagli inglesi Shadows; con questa formazione incidono un LP intitolato “The New Sound Group”  uscito alla fine dell’anno per la Columbia, ma in seguito a delle incomprensioni sorte nella band, Gerry Manzoli, Livio Macchia e Paolo De Ceglie agli inizi del 1965 si riuniscono con Riki Maiocchi e chiamano con loro Tonino Cripezzi, che abbandona i Trappers, e danno finalmente vita ai Camaleonti.

Iniziano ad esibirsi regolarmente al Santa Tecla, storico locale jazz milanese con un repertorio disinvolto che va dai classici “per coppie adulte” ai nuovi balli shake e al ritmo beat d’oltremanica per un pubblico più giovane e dinamico e il loro eclettismo musicale viene presto notato da Miki Del Prete, arrangiatore del Clan di Celentano che li fa firmare per l’etichetta Kansas; in breve esce il loro primosingolo: Ti saluto/Ti dai troppe arie, disco oggi abbastanza raro che vede sul lato A un bel pezzo beat a firma Zappa-Menegazzi caratterizzato da un riff di chitarra simile a You Really Got Me dei Kinks, senza però esserne un plagio, e sul retro una cover di Really Mystified dei Merseybeats.


Il gruppo lavora intensamente in tutti i migliori locali di Milano e dalla Lombardia e ovunque ottiene un grosso successo e in pubblico il quintetto si presenta con ottimi completi di colore diverso, un'idea per raffigurare la capacità di cambiare le tonalità della loro musica; poi nel mese di ottobre del’65 la Kansas pubblica il secondo 45 giri che è anche il primo grosso hit dei Camaleonti, ovvero Sha...La La La La/Tu credi in me, ancora due azzeccate cover di gruppi stranieri (La la la la la dei Blendells e sul lato B And My Baby's Gone dei Moody Blues) – il brano principale è inciso come se fosse un’esibizione dal vivo, con applausi e incitamenti iniziali e l’ottimo organo di Cripezzi in bella evidenza, un disco perfetto; Del Prete si dimostra una persona vincente ed oculata che oltre che fare da manager è anche un buon autore e suggeritore di idee geniali.

Il 1966 si apre con l’uscita in febbraio del terzo disco, questa volta con un formato insolito contenente tre
canzoni: I capelloni/Io lavoro/Come mai, ovvero tre versioni ad alto potenziale di altrettanti classici del beat inglese, nella fattispecie Over and Over dei Dave Clark Five, Get Off Of My Cloud dei Rolling Stones e We Gotta Get Out Of This Place degli Animals, dimostrando l’attenzione particolare del gruppo verso le novità d’oltremanica e le più che buone capacità strumentali dei ragazzi, Maiocchi poi è sicuramente uno dei migliori cantanti del beat italiano dotato di una voce scura e profonda.

Sempre nello stesso mese esce il primo LP intitolato, non senza un filo di autoironia “The Best Records In The World” che mette in luce le due anime del complesso, infatti accanto a brani dinamici come quelli usciti precedentemente su singolo appaiono anche canzoni più melodiche come Il mare non racconta mai, Non so che dire o Vi sbagliate, esordio alla voce solista di Livio Macchia; apprezzabile e degna di nota la cover di If You Gotta Go, Go Now di Dylan, che qui appare col titolo Non sperarlo più.

La produzione del gruppo in questo periodo è frenetica e in primavera escono a raffica altri 45 giri, un altro disco-tris che contiene Chiedi chiedi/I ragazzi del Grab/Dimmi ciao, questa volta tutti pezzi di autori italiani e ottimi esempi di beat frizzante e ballabile, seguito a breve distanza dal nuovo singolo Se ritornerai/Non so che dire (la facciata A è una versione italiana di Norwegian Wood dei Beatles, mentre il retro è un adattamento di un pezzo in francese intitolato Tant de beux rèves); il 15 giugno invece i Camaleonti partecipano al Primo Raduno Internazionale Beat al Palalido di Milano organizzato dall’instancabile Miki Del Prete assieme a una trentina di gruppi tra i quali Equipe 84, New Dada, Dik Dik, The Rokes, I Ribelli con Adriano Celentano, Caterina Caselli e gli Amici, i Fuggiaschi, i Giganti e dall’Inghilterra gli Hollies e i Bad Boys, presentatore: Gianni Boncompagni, poi improvvisamente in agosto l’inquieto Riki Maiocchi decide di lasciare la formazione e parte per Londra in cerca di nuovi musicisti, tornerà in Italia a settembre con i Trip nel quale transita per un po’ il chitarrista Ritchie Blackmore e prosegue poi la sua attività nel 1967 facendosi accompagnare dal gruppo I Generali e partecipando al Festival di Sanremo in coppia con Marianne Faithfull.


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giovedì 27 novembre 2014

JOHNNY HALLYDAY

Carissimi lettori,
oggi vi offriamo parte dell'articolo a cura di Augusto Morini che appare sul n° 36 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 


Jean Philippe Smet nasce a Parigi il 15 giugno 1943 da padre belga e madre francese.

I genitori si dividono poco dopo la sua nascita e Johnny viene allevato da una zia paterna, ballerina, sposata a Lee Hallyday, un ballerino acrobatico americano.

L'ambiente che il bambino frequenta è quello dello spettacolo, in giro per l'Europa, e Johnny impara presto a ballare e suonare la chitarra, mentre a 11 anni debutta nel cinema come comparsa ne “I diabolici”.

Dal 1958 inizia a frequentare il Golf Drouot, storico locale parigino dove si ascolta rock'n'roll, e qui conosce e diventa amico di altri futuri cantanti, come Long Chris e Eddie Mitchell. 

Attirato dal personaggio Elvis Presley Johnny comincia ad imitarlo e, incoraggiato da Lee Hallyday, inizia ad esibirsi, sebbene con scarso successo.

Il debutto ufficiale è da considerare l'apparizione al Robinson Moulin Rouge del dicembre 1959, alla quale fa subito seguito una presenza alla trasmissione
radio Paris-Cocktail, nella quale canta “(Let's Have A) Party” di Elvis.

Nell' aprile successivo la sua partecipazione ad un'altra trasmissione Tv; nella quale canta “J' Suis Mordu”, versione francese di I Got Stung, sempre di Elvis, viene notata da un funzionario dell'etichetta Vogue che lo mette sotto contratto. 

Di maggio è il suo primo disco, un Ep, e da subito Hallyday si fa notare per l'inconsueta e innovativa caratteristica di interpretare con eccellenti risultati covers di rock and roll americani non in lingua originale ma bensì tradotti in francese, cosa che continuerà a fare per tutta la carriera.

Il 20 settembre 1960, vestito di un completo rosa-shocking, debutta all'Alhambra-Maurice Chevalier, un teatro ‘serio' dove viene sonoramente fischiato dal pubblico adulto ma osannato dal pubblico giovane per la sua scatenata esibizione.

Il grande trionfo avviene due mesi dopo allo storico L'Alcazar di Marsiglia dove, però, avvengono per la prima volta i tafferugli che saranno poi caratteristica ricorrente dei suoi spettacoli, tanto che le città di Bayonne, Strasburgo e Cannes arriveranno a negargli la permanenza nel territorio cittadino.

                                                                          Per la Vogue registra ancora diverso materiale, come Kili Watch e 24.000 Baisers (di Celentano), ma dall'estate 1961 si lega alla Philips e subito Viens Danser Le Twist (versione francese di Let's Twist Again di Chubby Checker) con la vendita di un milione di copie consacra Hallyday come il miglior rocker della Francia e dell'Europa continentale.

La definitiva accettazione da parte dell'establishement musicale francese avviene a novembre quando, vestito elegantemente in smoking e camicia bianca pieghettata, Johnny trionfa all'Olympia di Parigi.

Con 2 milioni e mezzo di dischi venduti nel 1961 il cantante diventa anche in assoluto il numero uno della canzone francese. Fino al maggio 1964, quando parte per il servizio militare, la sua attività è frenetica su tutti i fronti: spettacoli, film e dischi.

Grandi successi sono i titoli Retiens La Nuit, Sam'di Soir, L'Idole des Jeunes e Le Penitencier  mentre fra i numerosi album da 25 e 30 cm. spiccano
Sings America's rocking hits (1962) e A l'Olympia (1962).

Il 13 aprile 1965 Johnny e Sylvie Vartan, in coppia da diverso tempo, si sposano mentre a novembre un concerto all'Olympia festeggia il ritorno del cantante alla vita civile.







mercoledì 19 novembre 2014

Dodge Custom Royal 1959


Carissimi lettori,
oggi vi offriamo parte dell'articolo a cura di Clivio Tesorini che appare sul n° 82 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 



        
          Benvenuti nell'anno più estremo della mitica "Fins-Era"!


Eccoci al cospetto di un design spiccatamente aeronautico che, dal 1957, per Dodge sfocia nell'indimenticabile "Forward Look", con le famose "pinne posteriori" miscelate perfettamente al resto del body e visibili già a partire dalla fine dei sedili anteriori!

Per i patiti del genere, per chi vuole ammirare la massima espressione di questo inconfondibile style, la Dodge Custom Royal Super D500 Convertible del 1959 è l'esempio più raggiante.



Perché? Beh, intanto è una "Custom Royal", top di
gamma dell'epoca, è equipaggiata con l'opzione
"Super D-500" (il più sportivo e performante
propulsore Dodge del tempo) ed è squisitamente
Convertible (in grado quindi di garantire un impatto
visivo ed un'emozione nell'utilizzo decisamente
considerevoli).

La bellezza estetica è garantita da un'imponenza ed una ricercatezza dei particolari senza compromessi; esternamente la vettura denota infatti alcune famose caratteristiche come la consistente forma delle 
parking lights (soprannominate "grille bombs"),
l'imponente calandra anteriore e le immancabili modanature cromate sopra i fari. 

Anche il laterale appare impreziosito da numerosi loghi e svariati inserti cromati (come quello contenente la scritta dorata "Custom Royal") mentre il posteriore, oltre alle vistose pinne, ospita eccentrici gruppi ottici sdoppiati conosciuti come
'Jet trail tail lamps", di forma tondo-ellittica, in plastica e con luce visibile anche lateralmente.

Se l'esterno scintilla", l'abitacolo non è certo da meno: l'appariscente cruscotto satinato e cromato ospita numerosi strumenti, tra cui un contamiglia a 
nastro"safety bar-type" pronto a cambiare colore in base 
alla velocità raggiunta: verde fino a 30 miglia orarie, ambrato da 30 a 50 e rosso per tutti coloro i quali osano spingersi sopra le 50 mph!

I sedili, stranamente formati da vinile e tessuto nonostante l'allestimento convertible, anche lateralmente hanno un pattern asimmetrico e, opzionalmente, al tocco di una leva, 
i due anteriori possono ruotare verso l'esterno di 40°, permettendo una più agevole entrata ed uscita dal veicolo (soprattutto per le signore con gonne strette!).

A tutta questa prorompente estetica ed infinita serie di splendidi optional, la nostra testimonial unisce anche il più potente e performante propulsore Dodge dell' epoca che,
imbullonato nel cofano della Custom Royal, prende il nome di Super D-500 ...

Andiamo a conoscerlo meglio!

SUPER DODGE, SUPER POWER 



Il propulsore di base sulla Custom Royal è il 361 c.i. Super Ram Fire V8 da 305 cavalli, ma per il my '59 viene proposto anche un 383 c.i. V8 (6.3L) equipaggiato con un singolo carburatore quadricorpo ed in grado di erogare 320 puledri scalpitanti (opzione D-500).

Per chi non si accontenta, inoltre, la Dodge può montare sul 383 c.i. addirittura due quadricorpo Carter, aumentando la potenza a 345 cavalli e dando vita al mito del “Super D-500 package”




sabato 15 novembre 2014

VADEMECUM DEL RETRO'

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Silvia Ragni che appare sul n° 85 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 

83 voci per riassumere lo stile anni ‘40 e ‘50 

ACCESSORI - Rappresentano dei complementi di stile dal ruolo decisivo: cappelli, guanti, borsette, foulard, occhiali da sole, cinture, bandana e cerchietti sono imprescindibili in qualsiasi look. 

ALABASTRO - Levigata, diafana, candida come l’alabastro più pregiato: così dev’essere la carnagione femminile negli anni ’40 e ’50. Viene ottenuta evitando accuratamente di esporsi al sole e con uno strato di fondotinta coprente, molto chiaro, fissato successivamente con una spolverata di cipria in polvere.

ALLURE - Il dizionario la definisce “andatura”, “portamento”, “aspetto”. Comunemente indica un fascino che proviene “da dentro”, una classe innata che qualsiasi look può solo contribuire a definire ed esaltare. A cavallo tra gli anni ’40 e i ’50 l’allure si identifica soprattutto nello stile bon ton, sofisticato e da “jeune fille bon genre” del quale star come Audrey Hepburn e Grace Kelly sono sublimi rappresentanti.



AUDREY HEPBURN - L’attrice britannica, protagonista di film cult come Sabrina (1954) e Colazione da Tiffany (1961) viene assurta ad icona di uno stile bon ton di cui il tubino nero, le ballerine, i guanti (bianchi e al polso, oppure sofisticatamente oltre il gomito), il cappello ed il foulard annodato attorno al collo
rappresentano i must. Ma anche il make up e l’acconciatura dell’indimenticabile interprete di Vacanze romane (1954), film che le vale un Oscar come Migliore Attrice, lasciano un’impronta indelebile: la minifrangia, le sopracciglia folte ad ala di gabbiano, le labbra evidenziate dal rossetto vengono emulate e riproposte sia durante i 50s, che nei decenni a venire.

BALLERINE - E’ Brigitte Bardot a lanciare il boom, calzando il paio che M.me Repetto creò su sua richiesta quando interpretò Juliette Hardy in E Dio creò la donna (1956). Originate da una rielaborazione delle scarpette da ballo dei danzatori classici, vengono prodotte in Dordogne e vendute a Parigi, allo storico civico 33 di Rue de la Paix: il negozio che Rose Repetto ha tramutato nel punto di riferimento per le fan delle ballerine di tutto il mondo.

BANDANA - Il fazzoletto rosso a pois bianchi, annodato in testa, che l’operaia  Rosie the Riveter esibisce nel manifesto del ’43 a sostegno dell’impegno delle donne americane durante la Seconda Guerra Mondiale, fa della Riveter un’icona culturale e della bandana uno degli accessori più gettonati da una folta schiera della popolazione femminile. Le versioni in cui si declina sono molteplici: tra le più frequenti, quella a fascia stretta con nodo centrale, alla paysienne, a piegatura larga e, naturalmente, alla Rosie the Riveter. In omaggio alla sua madrina.

BEACHWEAR - I primi bikini d’epoca - dopo il boom iniziale del 1946 - impongono reggiseni “corazzati”e alte culottes a coprire l’ombelico. Il costume intero, dal canto suo, è tutto meno che sgambato. La voglia di spensieratezza del dopoguerra si scontra con gli ultimi, massicci baluardi del senso del pudore e le forme, al mare, vengono solo sottolineate ma mai esibite. Ci si “sfoga”, in compenso, con modelli impreziositi da ruches, fiocchi, in fantasie pois o a quadretti Vichy, e il monopezzo raggiunge il top della seduttività nel modello “a fascia”. Tra le dive - o aspiranti tali - c’è chi osa: memorabile il bikini animalier sfoggiato da Jayne Mansfield il ridotto due pezzi di una Brigitte Bardot in versione starlet, a Cannes, nel 1953.
 
BETTIE PAGE - “The Queen of Pin Ups”, icona di stile suprema, è il modello di riferimento evergreen di ogni Pin Up  degna del suo nome. I lunghi capelli d’ebano ondulati e dotati di minifrangia (il suo cavallo di battaglia), il rossetto rosso fuoco, una malizia intrecciata alla solarità e al fetish in parti uguali, la rendono sexy ma rassicurante. Il suo sorriso risplende sia in versione Pin Up on the beach che in bustier di cuoio e con un frustino in mano. Fiori tra i capelli, colori sgargianti, bikini ridottissimi, bandana in testa, fantasie floreali e a pois sono i leit motiv del suo stile spensierato, sbarazzino con una punta d’eros. Piccante, ma mai “fatale”.


..continua sul n°85 di Jamboree Magazine.