lunedì 28 luglio 2014

BILLY FURY

Carissimi lettori,

oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Augusto Morini che appare sul n° 85 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 



Originario di Liverpool, dove nasce il 17 aprile 1940, Ronald Wycherley si avvicina alla musica da ragazzo, prendendo lezioni di piano e poi strimpellando la chitarra. 

Una volta terminati gli studi si impegna in diversi lavori sui battelli che navigano sul fiume Mersey, ma la scoperta del rock and roll, in particolare quello presente nel film americano ‘The Girl can’t Help it’, lo riporta verso la musica. 

Adottando il nome Stean Wade entra a far parte del gruppo ‘Formby Sniffle Gloup’ (sic) che suona principalmente musica skiffle

All’inizio del 1958 registra un acetato con alcuni brani di Elvis Presley e anche una propria composizione, e copie di queste registrazioni arrivano poi nelle mani di Larry Parnes, un impresario che già gestisce i primi rockers inglesi, Tommy Steele e Marty Wilde

Verso la fine dell’anno Parnes lo chiama e, in prova, lo fa esibire in un tour di Wilde. 

Il suo eccellente impatto sul pubblico convince l’impresario il quale gli fa firmare un contratto e gli cambia il nome in Billy Fury. 

Concluso poi un contratto con la Decca, all’inizio del 1959 esce il primo singolo, con la sua composizione Maybe tomorrow, che entra in classifica arrivando al n.18. 

Nel contempo inizia ad apparire in vari programmi TV, sia come cantante che come attore. 


Il successo è enorme ma la sua esuberante e provocante presenza scenica è tale che, a seguito di varie critiche e censure, ben presto è costretto a ridimensionarla e renderla più ‘tranquilla’.

Nel gennaio del 1960 il cantante partecipa, con diversi altri artisti, a un tour inglese di 12 settimane che ha come star Eddie Cochran e Gene Vincent e che alla fine vedrà la tragica morte di Cochran e il ferimento di Vincent in un incidente d’auto.

Nel frattempo le uscite discografiche non vanno molto bene ma le promettenti vendite del quinto singolo Colette, che in primavera sale al n.9, spingono la Decca a realizzare un Lp da 25 cm. The Sound of Fury, nel quale il cantante interpreta dieci proprie composizioni. 

Fra il resto del 1960 e i primi del 1961 seguono alcuni altri singoli che ottengono posizioni poco rilevanti nella hit parade.

Su pressioni della Decca Billy si orienta verso un genere più melodico e la scelta sembra essere premiante.

Halfway to paradise cover di un successo dell’americano Tony Orlando, entra in classifica a maggio, arriva al n.3 e gli procura un disco d’argento per la vendita di oltre 250 mila copie. 

In autunno è la volta di Jealousy, cover di un vecchio standard americano degli anni ’20, che sale al n.2 e al quale a novembre fa seguito I’d never find another you, n.5 e secondo disco d’argento.






..continua sul n°85 di Jamboree Magazine.


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venerdì 18 luglio 2014

THE ADELS: vent’anni e dimostrarli tutti!

Carissimi lettori,
oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Maurizio ‘Dr Feelgood’ Faulisi che appare sul n° 85 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 


Poche band in Italia possono vantare un curriculum tanto ricco di collaborazioni, tour e produzioni discografiche come quello degli Adels

La loro proposta musicale è apprezzata dai fruitori occasionali di rock and roll, il cosiddetto pubblico medio, tanto quanto dai fan più incalliti del rockabilly più fondamentalista, grazie ad una simpatia contagiosa, grande disponibilità umana e un approccio grintoso e divertente.

E’ uscito recentemente il nuovo ennesimo album del trio siciliano, un’altra riuscitissima manciata di originali eseguiti con l’entusiasmo e la carica adrenalinica che caratterizzano il combo.

Prodotto e realizzato a Palermo da Fabio Rizzo, fondatore dell’etichetta 800A Records, nonché protagonista della scena locale, mai così attiva e creativa. 

Ce lo conferma anche Don Diego Geraci, autore, cantante e chitarrista degli Adels, che in questa lunga intervista, rilasciata per email durante l’ultimo tour europeo della band, ci racconta di come le cose nel Sud, particolarmente in Sicilia, stiano cambiando in meglio, e quanto a suo avviso possano ulteriormente migliorare, se si affrontano con determinazione, entusiasmo e infinita passione. 

Come, evidentemente, han fatto gli Adels in questi ultimi vent’anni.  1994-2014, vent’anni sono una tappa importante.

Mi chiedo quanto possa essere difficile trovare l’idea giusta per celebrarla, considerato che questi due decenni sono stati caratterizzati da un ritmo serratissimo di concerti, collaborazioni, tour, registrazioni ed eventi. 

Nemmeno l’annuncio di un album quintuplo in uscita potrebbe stupire amici e fan, vista la vostra incredibile prolificità! Che significato date al 2014?

E’ un traguardo importante! Sicuramente! Ma non vogliamo autocelebrarci, quindi continuiamo a fare quello che facciamo ogni giorno: salire a bordo del nostro pulmino stracarico all’inverosimile per raggiungere l’ennesimo club per far divertire suonando la nostra musica. 

Ci atteniamo a quel principio sottolineato dal proprietario di una famosa catena di hotel americani: la migliore sorpresa è non avere sorprese! 

Ed è questo che, chi ci segue, vuole disperatamente, ossia poterci trovare tanto nel baretto a pochi km da casa, quanto al festival più o meno blasonato. 

Ci piacerebbe fare una festa come si deve, ma abbiamo uno schedule così fitto che sappiamo già sarà impossibile farla! Effettivamente festeggiamo i 20 anni il 17 di luglio e, comunque, quella data siamo in giro insieme a Mark Harman, nostro mentore e mio maestro di vita e di stile!

Quindi, a modo nostro, la festa ci sarà, anche se solo noi possiamo capirla in pieno.

Vi siete esibiti moltissimo e ovunque, immagino che il vostro contachilometri sia quasi al secondo giro…. Allora, in quanto musicisti provenienti dal profondo Sud, lasciate che vi chieda di raccontarcelo il Sud. 

Il meridione, da sempre irraggiungibile dai tour di artisti stranieri (ma anche di quelli italiani residenti al centro-nord), in questi 20 anni ha potuto contare almeno sulla presenza degli Adels!

Il sud è, come tutti saprete, la terra delle contraddizioni: bella da morire, ma altrettanto disorganizzata; fascinosa ma anche capace di farti arrabbiare come poche cose nella tua vita. 

Ed è così anche per la musica: pubblico splendido, ma location completamente improvvisate. 

Noi il sud lo amiamo disperatamente (soprattutto la nostra Sicilia, terra che, tra l’altro, vanta un curriculum legato al rock and roll di tutto rispetto!) ma ci stiamo veramente poco. 

Sai cosa ci ha portato questa estrema “lontananza” dal resto dello stivale? Una determinazione senza pari: per noi 15 ore di viaggio per andare a vedere (o fare) un concerto sono come un bicchiere di acqua fresca! 
Quando sento amici che vivono in grandi città che si lamentano perché il loro gruppo preferito suona a 30km di macchina.. mi verrebbe voglia di ucciderli!!! 

Se penso che, la prima volta che andai a vedere Brian Setzer (a Lucerna) ci andai in treno (il mio compagno di viaggio temeva l’aereo): 5 giorni di viaggio della speranza per 90 minuti di concerto!

Però adesso, soprattutto, la Sicilia sta generando una infinità di realtà (legate più o meno al rockabilly) da far paura! Ci sono una decina di band (dal neo a quello ‘autentico’) che lavorano costantemente e professionalmente in giro per lo stivale (e oltre….); due super big band; poi formazioni di surf e jump blues, insieme a combo di musica swing (cantato e ballabile….).

Non esiste altra regione in Italia che possa vantare un fermento di queste proporzioni. Noi ogni tanto, quando ci ritroviamo in terra nostra, organizziamo un piccolo raduno con alcune di queste band! E il clima che ne viene fuori è fantastico! 

Il nostro annuale concerto di Natale è un appuntamento fisso per ritrovarsi con questi amici-musicisti. Così come lo sta diventando il nostro appuntamento estivo! Non so se è l’arte di arrangiarsi a rendere tutto così in fermento, oppure gli stimoli dati da noi e altre band che lavorano costantemente, ma, sta di fatto, che adesso la Sicilia è una terra fortunata, se vista come laboratorio creativo.

                                                                                                                                           ...continua sul n°85 di Jamboree Magazine.


lunedì 7 luglio 2014

FIORI NELLA PIOGGIA: THE MOVE

Carissimi lettori,
oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Luca Selvini che appare sul n° 85 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 

Birmingham nel 1964 vanta una nutrita schiera di formazioni particolarmente originali e un panorama musicale molto valido, tanto che la stampa specializzata battezza questo fenomeno col nome di Brum Beat

I nomi più in vista sono quelli di Rockin’ Berries, The Applejacks, The Renegades e i grandi Spencer Davies Group; ma ci sono anche i Vikings, guidati dal cantante Carl Wayne e che comprendono anche il bassista Chris “Ace” Kefford e il batterista Bev Bevan, uno che aveva suonato con i Diplomats di Denny Laine prima che l’eclettico chitarrista fondasse i Moody Blues, altra band cittadina emergente che diverrà presto leggendaria; e poi ancora i Nightriders con Roy Wood alla chitarra e i Danny King & The Mayfair Set, che includono un altro chitarrista di nome Trevor Burton. 

Una sera di dicembre 1965 questi tre complessi si ritrovano a suonare assieme al Cedar Club e a margine del concerto alcuni di loro iniziano a fare una jam session, così tanto per divertimento e in breve nasce l’idea di formare una nuova band fresca e potente che si materializza di li a poco col nome The Move, una sigla che suggeriva il fatto che i suoi componenti se ne stavano andando via (to move away) da propri rispettivi gruppi, anche se è plausibile che i ragazzi (tutti dotati di grande talento vocale) avessero scelto quella denominazione su esempio di nomi forti, brevi e dinamici che erano un po’ il tratto distintivo della giovane scena modernista del momento. 

Il loro repertorio in questa prima fase è infatti caratterizzato da cover di brani della Motown, eseguiti con una spiccata attitudine violenta, su esempio dei live degli Who, una band a cui spesso i Move vengono paragonati e ben presto i cinque diventano l’attrazione principale al Belfry Hotel di Birmingham fino a quando vengono notati dal manager Tony Secunda che nella primavera dell’anno successivo li fa trasferire a Londra e assicura loro un ingaggio fisso al fine settimana al celebre Marquee Club; la mossa successiva del giovane manager è quella di pubblicizzare la nuova immagine dei suoi protetti facendoli vestire con eleganti completi gessati anni trenta, in stile gangster e procurando loro un contratto discografico con l’etichetta Deram, la sussidiaria “progressiva” della Decca. 

È tempo di crescita e di cambiamento nel mondo dello spettacolo, ora si parla di Pop-Art e di Happenings e le esibizioni dei Move si fanno sempre più elaborate e caotiche fino ad arrivare a sfasciare televisori sul palco con un’ascia o, come nel caso di uno spettacolo alla Roudhouse, a distruggere una vera automobile!!


Il gruppo comincia a subire il fascino delle complesse armonie vocali della West-Coast americana, al ché Secunda, scoperte le grandi capacità compositive di Roy Wood, lo sprona a comporre materiale e i risultati si materializzano nel gennaio del 1967 col primo singolo Night Of Fear/Disturbance prodotto da Danny Cordell che sale immediatamente al secondo posto nelle classifiche; la facciata principale si apre con una citazione della 1812 Ouverture di Tchaikowsky mentre il retro, un brano vivace quanto oscuro si fa notare per un finale cacofonico, evocativo forse di una brutta esperienza con gli allucinogeni. 

In questo periodo fatto di rapide trasformazioni nel panorama musicale (il passaggio dalla scena R&B al nascente movimento psichedelico), i Move sono tra i primi ad esibirsi regolarmente all’UFO Club, dove però le reazioni del pubblico sono contrastanti, e se da un lato vengono apprezzati dai mods più dinamici e predisposti alla violenza dei loro live, dall’altra lasciano perplessi gli hippies, sconcertati da tanta aggressività – allo stesso modo gli amanti del suono modernista e della Motown dimostrano di non gradire molto i lunghi assoli lisergici e i feedback dei chitarristi on stage. 

In aprile la band si esibisce al prestigioso 14th Hour Technicolour Dream all’Alexandra Palace, assieme ai più bei nomi dell’underground inglese (Creation, Soft Machine, Pink Floyd e Tomorrow, fra gli altri) e poi danno alle stampe il nuovo 45 giri I Can Hear The Grass Grow/Wave Your Flag And Stop The Train; il lato A riflette già dal titolo il coinvolgimento del gruppo nella psichedelia, anche se Wood ha sempre sostenuto che era abile a scrivere pezzi che parlavano di acido e cannabinoli senza fare uso di droghe, stimolato solo da una bottiglia di Scotch, a differenza dei suoi compagni, Burton e Kefford in particolare, entusiasticamente convertiti alle sostanze psicotrope. 

Entrambi i brani si fanno notare per un gustoso suono pop già incline alle stranezze del cosiddetto “freakbeat”, dove spiccano oltre ai brillanti arrangiamenti anche il drumming “a catapulta” di Bev Bevan, molto debitore dello stile percussivo di Keith Moon.

                                                                                              ...continua su Jamboree Magazine n°85