venerdì 15 agosto 2014

PETER O'TOOLE

Carissimi lettori,
oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Agostino Bono che appare sul n° 85 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 



Lost Stars of Hollywood

E’ stato uno dei più eccentrici, carismatici e tormentati attori della storia del cinema.
Esponente del realismo britannico del dopo guerra, arrivò ad Hollywood negli anni sessanta.

Da allora divenne anche famoso per la sua vita sregolata e la propensione al bere, in privato e durante le feste a cui era solito partecipare.

Col tempo, ciò avrebbe inciso negativamente sulla sua carriera e salute.

Peter Seamus O'Toole nacque a Connemara, Contea di Galway, Irlanda, il 2 agosto 1932.

Ancora bambino, si spostò con la famiglia a Leeds, in Inghilterra, dove frequentò la Saint Anne's Catholic School.

Non fu uno studente modello e mai gli piacque la severità delle suore che gestivano l'istituto.

In particolare, non gli andava a genio che dessero bacchettate sulla mano sinistra per costringerlo a scrivere con la destra.

Due erano invece le sue passioni: il giornalismo ed il teatro.

La seconda finì con il prevalere sulla prima.

Dopo un breve periodo nella Marina Reale Britannica, come addetto alle telecomunicazioni, presentò domanda per essere ammesso ai corsi di recitazione dell'Abbey's Theatre Drama School di Dublino.

L'esito fu negativo, a causa della sua non perfetta pronuncia irlandese.

Deciso comunque a seguire la propria vocazione, presentò una seconda domanda alla Royal Academy of Dramatic Art nel 1952.

La celebre scuola inglese lo accettò e lo fece diventare un grande attore teatrale e, poi, cinematografico.

Negli anni cinquanta si fece apprezzare in produzioni teatrali, tratte da opere di Shakespeare: King Lear (1955), Otello (1956), Pigmalione (1957) e Amleto (1958).

Dopo alcune partecipazioni a serie per la televisione inglese, esordì sul grande schermo nel 1960 in Il ragazzo rapito, tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson.

Seguirono altri due buone prove in Furto alla Banca d'Inghilterra (1960) e Ombre Bianche (1960).

La svolta avvenne nel 1962, quando David Lean gli offrì il ruolo dello scrittore inglese, T.E. Lawrence, in quello che si sarebbe rivelato il migliore dei suoi film, Lawrence D'Arabia.

La pellicola ricevette 10 nomination agli Oscar e ne vinse sette, compresa quella di miglior film.

 Peter, nominato nella categoria miglior attore protagonista, perse a favore di Gregory Peck che concorreva per Il buio oltre la siepe (Robert Mulligan, 1962).

Nonostante ciò, la prova del giovane attore britannico ebbe un grande impatto su critica e pubblico e lo lanciò nell'olimpo delle star.

Gli anni sessanta furono i migliori dal punto di vista professionale.

In quella decade, Peter ottenne altre tre nomination agli Academy Awards.

In particolare, in Becket ed il suo re (1964), nei panni di Re Riccardo II, al fianco di Richard Burton; Il Leone d'Inverno, ancora una volta nei panni del sovrano inglese e con Katherine Hepburn nel ruolo della regina Eleonora; e Goodbye Mr Chips, buon remake, in versione musicale, di Addio Mr. Chips (1939, Sam Wood).

La decade fu caratterizzata da altri buoni ruoli che consolidarono il suo status di leading man: Lord Jim (1965), nei panni del marinaio, condannato per codardia e radiato dalla Marina Inglese, che vive solo per riscattare la propria immagine; Come rubare un milione di dollari e vivere felici (1966), ultima commedia di William Wyler, dove aiuta Audrey Hepburn a rubare una statua da un museo di Parigi; e la Notte dei Generali (1967) che lo vide nei panni dello psicopatico generale Nazista Tanz e riunirsi con Omar Sharif, con cui aveva recitato in Lawrence d'Arabia.

La classe dirigente (1972) fu il miglior suo film degli anni settanta nel ruolo di un altro psicopatico, Jack Gurney, erede del Conte di Gurney, che all'inizio crede di essere Gesù Cristo e poi Jack lo Squartatore.

Anche questa volta, rimase tale, in quanto i giurati gli preferirono Marlon Brando, Don Vito Corleone, nel capolavoro di Francis Ford Coppola, Il Padrino.

Seguirono anni difficili, caratterizzati dalla mancanza di buone proposte, dovuta anche alla dipendenza dall'alcol e alle non buone condizioni di salute, ed al divorzio dalla moglie nel 1979, l'attrice irlandese Sian Phillips, che aveva sposato nel 1959  e dalla quale aveva avuto due figlie.

Nonostante ciò, riuscì a trovare l'ispirazione giusta e fornire due buone prove in Zulu Dawn (1979), ricostruzione storica della battaglia di Isandlwana, fra l'esercito inglese e la nazione Zulu, e Io, Caligola (1979), storia, mal riuscita, dell'imperatore romano, interpretato da Malcom Mc Dowell.

Peter interpretò Tiberio, ma non riuscì a sollevare le sorti del film.

Due commedie, Professione pericolo (1980) e L'ospite d'onore (1982), ridiedero smalto alla sua carriera e gli valsero altre due nomination agli Oscar.

Erano già sette ed il fatto di non aver convinto nemmeno questa volta i giurati degli Academy Awards gli fece perdere le speranze di poter, ormai, vincere una statuetta. 

Sfortunatamente, i film che accettò di interpretare in seguito non furono all'altezza dei precedenti e soprattutto, delle sue capacità. Unica eccezione fu il ruolo del tutor scozzese, Reginald Johnston, del giovane imperatore Pu Yi, nel pluripremiato L'ultimo Imperatore (1987), del nostro Bernardo Bertolucci.

In un film che conseguì nove Oscar, Peter rimase stranamente all'asciutto.

Di lì in poi, una serie di ruoli di supporto ed una maggior presenza in produzioni televisive americane.

In due di queste, Giovanna d'Arco (1999), nelle vesti del vescovo Cauchon, e Hitler: the Rise of Evil (2003), in quelle del Cancelliere tedesco Paul von Hinderburgh, ottenne una nomination agli Emmy Awards.




                                      ..continua sul n°85 di Jamboree Magazine.

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia il tuo commento...