giovedì 1 maggio 2014

Storia della Minigonna

Carissimi lettori,

In attesa delle anticipazioni del n.85 di "Jamboree Magazine" di prossima uscita, pubblichiamo parte della Rubrica 'Vintage & Style' dal n.82 luglio/settembre 2013


Quest’anno ricorre il suo cinquantesimo compleanno, ma non è mai stata così giovane: la minigonna, nata nel pieno del tumulto ‘reazionario’ della Swinging London, è forse il capo d’abbigliamento che, più di qualsiasi altro, incarna la doppia valenza di innovazione ‘modaiola’ e fenomeno di costume, elevandosi a simbolo tout-court di uno straordinario mutamento epocale e della linea di rottura che il movimento giovanile sancisce nei confronti delle precedenti generazioni. 

‘O tempora, o mores!’, come recita il detto di ciceroniana memoria. La mini si origina nel contesto perfetto di una Londra piacevolmente ‘sconvolta’ dalla frizzante atmosfera di inizio anni ’60, quando l’anticonformismo e la ‘fantasia al potere’ si diffondono ed esplodono in un tripudio di caleidoscopiche trasgressioni che coinvolgono i giovani a 360°: dalla moda al lifestyle, passando per la spiritualità e i valori tutto è ‘nuovo’, ‘rivoluzionario’, ‘diverso’, vissuto all’insegna di quella ‘Freedom’ che, una manciata di anni dopo, fu grido di battaglia di Jimi Hendrix. La mini nasce ufficialmente nel 1963 e la sua ideazione viene storicamente associata a una giovane designer, Mary Quant, nata a Blackheat – un sobborgo della città del Big Ben – nel 1934.

Anticonformista per natura, diplomata al Goldsmith College of Art, Quant pensa di tradurre in attività professionale ciò che per lei, fino a quel momento, era stato solo un hobby: creare vestiti. 

Nel 1955 apre dunque una boutique in King’s Road, Bazaar, dove comincia a proporre abiti dagli orli progressivamente sempre più corti. 

L’idea le balena in mente una sera, mentre osserva alcune ragazze che ballano alla taverna del Savoy: “Le ho viste con quelle sottane sotto al ginocchio che facevano una fatica terribile a tenersi in piedi con quel ritmo forsennato”, commenta, e il giorno dopo è intenta a disegnare miniabiti e ad accorciare orli.




Ma il più famoso ‘colpo di forbice’ della storia, quel taglio netto di almeno 20 cm che sarà destinato a rivoluzionare i costumi e la cultura a titolo permanente, lo compie – così vuole la leggenda – in onore della Mini, l’auto che preferisce e che, all’epoca, è il must have della Londra più à la page. 

La Mini ha dimensioni ridotte, sfreccia scattante tra le strade della Swinging London affascinando tutti i giovani ribelli.

Quant crea, ispirata dal suo modello, una gonna fatta di pochi centimetri di stoffa per consentire alle ragazze la massima libertà di movimento, la liberazione da ogni costrizione, l’indipendenza fisica e morale. 

Bazaar è il punto fisso di riferimento per gli under 30 attratti dalle avanguardie, e si tramuta nella meta fashion per eccellenza a livello mondiale: nel 1963, i giovani rompono gli schemi creati dalle vecchie generazioni originando una frattura irreversibile che si esprime anche, e soprattutto, nel look. 

Ecco quindi che i capelli lunghi per i ragazzi e la mini per le ragazze diventano sommi simboli di emancipazione e di rottura con le convenzioni che esprimono una forza incredibile, mai vista prima d’ora. 
I giovani fruiscono di un proprio mondo a parte: adorano boutique indirizzate specificamente ad un target ‘teen’ come Bazaar, Biba, Granny Takes a Trip, solo per citarne alcune. 

I Rolling Stones e la Beatlesmania stimolano ed esprimono il loro cotè ribelle. 

In un simile contesto, l’impatto sociale della minigonna è potentissimo: la lunghezza iniziale che Quant ha fissato a due pollici sopra il ginocchio arriverà, per accentuarne la valenza anticonformista, a diventarne 4, poi 8, in una escalation progressiva che porterà la mini a ricoprire appena la coscia. 

E’ il 1963 quando le vetrine di Bazaar espongono la prima minigonna: il boom è colossale, anche grazie ad una felice intuizione di Mary Quant che sceglie Twiggy come sua prima ed unica testimonial, veicolandone l’immagine internazionale con sapiente efficacia.

Non una modella professionista, bensì un’apprendista parrucchiera appena sedicenne, Twiggy (al secolo Lesley Homey) ha le phisyque du role per esprimere un rivoluzionario concetto di stile: il suo volto e il suo corpo filiforme sono altrettanto ‘di rottura’ del capo che si accinge a presentare, estranei ad ogni regola e convenzione estetica finora prefissate. 

Grandi occhi da cerbiatta, lentiggini spruzzate sul naso, un bob dorato che richiama al nuovo taglio lanciato - sempre nel 1963 - da Vidal Sassoon, Twiggy si distanzia fisicamente anni luce dal modello della ‘maggiorata’ fino ad allora in voga. 

Detta le coordinate di un nuovo mood, diretto più a compiacere il proprio sguardo che quello maschile, e suscita immediatamente l’ammirazione di una schiera di proseliti dando il via alla moda della ‘donna grissino’. 

Niente fianchi e seno, gambe svettanti e magrissime, Twiggy – ossia ‘ramoscello’ – diverrà un’icona di stile la cui immagine rimarrà associata alla minigonna per sempre.  

...continua su Jamboree Magazine n°82


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