giovedì 30 gennaio 2014

Una Band chiamata Love


“L’immagine migliore che ci è stata tramandata è quella di un gruppo di cinque persone su una scala a chiocciola, e uno di loro porta un paio di occhialini con una lente rossa e una blu e ha una sigaretta infilata nell’orecchio... Diamo allora uno sguardo a questa band americana dalla storia travagliata, che nella sua breve esistenza ha influenzato la musica rock in maniera decisiva anche se dipendeva totalmente dal genio bizzarro e dispotico del suo leader…”


Arthur Lee è un giovane ed elegante nero nativo di Memphis, Tennessee ma trasferitosi a Los Angeles sin da quando era bambino – egli dimostra di avere un talento naturale per la musica e impara presto a suonare la chitarra, il pianoforte e l’armonica – è cresciuto ascoltando i maestri neri del blues e ha assorbito il loro stile, ma è anche attratto dal Rock’n’Roll e agli inizi degli anni sessanta inizia a comporre le sue prime canzoni. Si trova coinvolto a suonare nei V.I.P, una band cittadina dove conosce Frank Fayad e Gary Rowles (tutti e due collaboreranno in futuro di nuovo con lui), poi nel 1963 su esempio del MG’s di Booker T. forma un gruppo che battezza col nome di L.A.G’s (Los Angeles Group) in compagnia di Alan Talbot, Roland Davis e Johnny Echols, un suo vecchio amico sin dai tempi di Memphis, anche lui nero; Echols, seppure più giovane di un paio d’anni di Lee è un bravissimo chitarrista amante del jazz moderno e del R&B che vanta già diverse collaborazioni in studio con vari musicisti tra cui anche Little Richard, Billy Preston e Miles Davis e il suo modo di suonare è molto influenzato da John Lee Hooker e dal jazzista Warren Sharrock.

I LA.G’s pubblicano per la Capitol Records un 45 giri con due brani strumentali di stampo marcatamente surf: The Ninth Wave/Rumble Stillskins, poi l’anno seguente Arthur Lee forma, sempre in compagnia di Echols gli American Four e questa volta oltre a loro due ci sono il batterista John Jacobson e il bassista John Fleckenstein; il gruppo incide un brano intitolato Luci Baines, uscito per la Selma Records, dove si può ascoltare per la prima volta la caratteristica timbrica della voce di Lee, mentre sul retro di questo singolo c’è un altro strumentale scritto da Echols intitolato Soul Food






Sempre nel 1964 invece l’etichetta Revis pubblica un pezzo soul cantato da Rosa Lee Brooks e composto per lei da Arthur intitolato My Diary, dove il giovane chitarrista suona assieme ad uno straordinario musicista nero di Seattle qui incontrato per la prima volta: Jimi Hendrix

Arthur ha già elaborato un suo personalissimo stile, vestendo abiti stravaganti e colorati e la leggenda dice che Jimi ne subirà il fascino e che ciò lo influenzerà molto nel suo modo di presentarsi in pubblico negli anni a venire; ma anche Lee rimane colpito dalla maniera disinvolta con cui Hendrix suona la chitarra e dal suo concepire il blues e il rock – il risultato è che due grossi talenti si sono contaminati a vicenda! 

Nel frattempo la scena musicale di Los Angeles sta cambiando rapidamente e sotto la spinta dell’invasione inglese di gruppi come Beatles, Kinks, Rolling Stones e Yardbirds, sono nate nuove band locali, a dimostrazione che una risposta americana a questa “colonizzazione” è possibile, magari scrivendo materiale proprio. Lee rimane colpito in particolare dai Byrds, dal quel suono affascinante e cristallino delle chitarre a dodici corde e dal loro modo di coniugare il folk con il beat e decide di dare un nuovo impulso alla sua band. 

...continua sul n°84 di Jamboree Magazine




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