Carissimi lettori,
oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Manuel Cavenaghi che appare sul n° 85 della nostra rivista che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com
La golden age del cinema biker americano
oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Manuel Cavenaghi che appare sul n° 85 della nostra rivista che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com
La golden age del cinema biker americano

Compagni di viaggio sono i
paesaggi, le vibrazioni della strada e il suono del motore.
Se pensiamo a come
il cinema abbia descritto la poetica del “born to be wild”, il titolo
immediatamente evocato è Easy Rider (1969).
Il film diretto da Dennis Hopper,
però, rappresenta un’anomalia nel filone qui analizzato: non ci occupiamo
infatti di “road movies”, né, più in generale, di “bike movies”, ma di “biker
movies”.
Una differenza che sembra piccola, ma è enorme.
Di moto è piena la
storia del cinema, mentre i protagonisti di quella che è stata codificata come
“bikexploitation” non sono i mezzi, ma i motociclisti: tra la fine degli anni
Sessanta e i primi Settanta, i centauri violenti e barbuti diventano icone di
quel cinema selvaggio e oltraggioso che stava facendo la fortuna dei drive-in
americani.

Il primo momento in cui i
biker illegali riempiono le cronache è per la Festa dell’Indipendenza americana
del 1947.
Sul numero del 21 luglio di Life Magazine, a pagina 31, appare questo
breve articolo: “Nel fine settimana del quattro luglio, 4000 membri di un club
motociclistico sono arrivati rombando a Hollister, California, per una convention
di tre giorni.
Si sono stancati in fretta dell’eccitazione che danno
normalmente le motociclette e hanno iniziato a compiere evoluzioni più
eccitanti.
Sfrecciando con i loro veicoli nella via principale e tra i
semafori, si sono infilati dentro ristoranti e bar, rompendo vetrine e
arredamenti.
La polizia ne ha arrestati molti per ubriachezza e atti osceni,
ma non è riuscita a ristabilire l’ordine.
Infine, dopo due giorni, i motociclisti
se ne sono andati via dando una spiegazione strafottente: Ci piace metterci in
mostra, è proprio divertente!”.
La storia di Hollister tocca l’opinione
pubblica e negli anni successivi l’attenzione della stampa verso i biker non
verrà certo meno, tanto che nel 1951 lo scrittore Frank Rooney pubblica su
Harper’s Magazine il racconto The Cyclist’s Raid ispirato ai fatti del
1947.

Il selvaggio (The Wild One, 1953) di Laslo Benedek, che romanza
l’invasione di Hollister, è uno shock: mostra, per la prima volta sullo
schermo, bande di ragazzi annoiati da una vita convenzionale che nel weekend si
trasformano in pericolosi teppisti. Marlon Brando, a cavallo della Triumph
Thunderbird, con berretto, occhiali Ray-Ban, Levi’s risvoltati e giubbotto di
pelle con la scritta “Black Rebel Motorcycle Club” diventa l’icona dei
motociclisti e, più in generale, dei giovani ribelli.
Pur essendo una prima
prova generale per il genere affrontato in questo libro, il film delinea già
perfettamente il carattere dei protagonisti di queste pellicole, incarnati nei
due leader rivali del film di Benedek: da una parte Brando, lo sbruffone che
maschera dietro la sua arroganza il mal di vivere e la mancanza degli affetti,
dall’altra Lee Marvin, il violento, sporco e ubriacone, la vera feccia della
società, che non si fa scrupoli nel compiere reali crimini.
Nonostante
l’attenzione dello spettatore attuale sia rivolta verso le moto, tantissime e
impiegate per mettere a segno sbruffonate da bulletto di periferia, per la
sensibilità di allora furono le violenze – che oggi ci paiono davvero all’acqua
di rose – e catalizzare tutta l’attenzione.
Il film, anche grazie a problemi
con la censura, ha un enorme successo, ma i prodotti che nascono sulla sua scia
privilegiano solo la tematica della delinquenza di per sé, facendo a meno del
cotè motociclistico.
Dopo Il selvaggio non fiorisce quindi una produzione di
film dedicati alle due ruote, ma spuntano come funghi ritratti di “ribelli
senza causa” che di lì a poco troveranno espressione ideale in James Dean e
nella sua passione per le auto truccate.