lunedì 7 luglio 2014

FIORI NELLA PIOGGIA: THE MOVE

Carissimi lettori,
oggi vi offriamo un'anteprima dell'articolo a cura di Luca Selvini che appare sul n° 85 della nostra rivista  che potete richiedere collegandovi a www.jamboreemagazine.com 

Birmingham nel 1964 vanta una nutrita schiera di formazioni particolarmente originali e un panorama musicale molto valido, tanto che la stampa specializzata battezza questo fenomeno col nome di Brum Beat

I nomi più in vista sono quelli di Rockin’ Berries, The Applejacks, The Renegades e i grandi Spencer Davies Group; ma ci sono anche i Vikings, guidati dal cantante Carl Wayne e che comprendono anche il bassista Chris “Ace” Kefford e il batterista Bev Bevan, uno che aveva suonato con i Diplomats di Denny Laine prima che l’eclettico chitarrista fondasse i Moody Blues, altra band cittadina emergente che diverrà presto leggendaria; e poi ancora i Nightriders con Roy Wood alla chitarra e i Danny King & The Mayfair Set, che includono un altro chitarrista di nome Trevor Burton. 

Una sera di dicembre 1965 questi tre complessi si ritrovano a suonare assieme al Cedar Club e a margine del concerto alcuni di loro iniziano a fare una jam session, così tanto per divertimento e in breve nasce l’idea di formare una nuova band fresca e potente che si materializza di li a poco col nome The Move, una sigla che suggeriva il fatto che i suoi componenti se ne stavano andando via (to move away) da propri rispettivi gruppi, anche se è plausibile che i ragazzi (tutti dotati di grande talento vocale) avessero scelto quella denominazione su esempio di nomi forti, brevi e dinamici che erano un po’ il tratto distintivo della giovane scena modernista del momento. 

Il loro repertorio in questa prima fase è infatti caratterizzato da cover di brani della Motown, eseguiti con una spiccata attitudine violenta, su esempio dei live degli Who, una band a cui spesso i Move vengono paragonati e ben presto i cinque diventano l’attrazione principale al Belfry Hotel di Birmingham fino a quando vengono notati dal manager Tony Secunda che nella primavera dell’anno successivo li fa trasferire a Londra e assicura loro un ingaggio fisso al fine settimana al celebre Marquee Club; la mossa successiva del giovane manager è quella di pubblicizzare la nuova immagine dei suoi protetti facendoli vestire con eleganti completi gessati anni trenta, in stile gangster e procurando loro un contratto discografico con l’etichetta Deram, la sussidiaria “progressiva” della Decca. 

È tempo di crescita e di cambiamento nel mondo dello spettacolo, ora si parla di Pop-Art e di Happenings e le esibizioni dei Move si fanno sempre più elaborate e caotiche fino ad arrivare a sfasciare televisori sul palco con un’ascia o, come nel caso di uno spettacolo alla Roudhouse, a distruggere una vera automobile!!


Il gruppo comincia a subire il fascino delle complesse armonie vocali della West-Coast americana, al ché Secunda, scoperte le grandi capacità compositive di Roy Wood, lo sprona a comporre materiale e i risultati si materializzano nel gennaio del 1967 col primo singolo Night Of Fear/Disturbance prodotto da Danny Cordell che sale immediatamente al secondo posto nelle classifiche; la facciata principale si apre con una citazione della 1812 Ouverture di Tchaikowsky mentre il retro, un brano vivace quanto oscuro si fa notare per un finale cacofonico, evocativo forse di una brutta esperienza con gli allucinogeni. 

In questo periodo fatto di rapide trasformazioni nel panorama musicale (il passaggio dalla scena R&B al nascente movimento psichedelico), i Move sono tra i primi ad esibirsi regolarmente all’UFO Club, dove però le reazioni del pubblico sono contrastanti, e se da un lato vengono apprezzati dai mods più dinamici e predisposti alla violenza dei loro live, dall’altra lasciano perplessi gli hippies, sconcertati da tanta aggressività – allo stesso modo gli amanti del suono modernista e della Motown dimostrano di non gradire molto i lunghi assoli lisergici e i feedback dei chitarristi on stage. 

In aprile la band si esibisce al prestigioso 14th Hour Technicolour Dream all’Alexandra Palace, assieme ai più bei nomi dell’underground inglese (Creation, Soft Machine, Pink Floyd e Tomorrow, fra gli altri) e poi danno alle stampe il nuovo 45 giri I Can Hear The Grass Grow/Wave Your Flag And Stop The Train; il lato A riflette già dal titolo il coinvolgimento del gruppo nella psichedelia, anche se Wood ha sempre sostenuto che era abile a scrivere pezzi che parlavano di acido e cannabinoli senza fare uso di droghe, stimolato solo da una bottiglia di Scotch, a differenza dei suoi compagni, Burton e Kefford in particolare, entusiasticamente convertiti alle sostanze psicotrope. 

Entrambi i brani si fanno notare per un gustoso suono pop già incline alle stranezze del cosiddetto “freakbeat”, dove spiccano oltre ai brillanti arrangiamenti anche il drumming “a catapulta” di Bev Bevan, molto debitore dello stile percussivo di Keith Moon.

                                                                                              ...continua su Jamboree Magazine n°85






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